Lavoro

Sembra di essere tornati indietro nel tempo, quando nel film “Pane e cioccolata” un emigrante, interpretato da Nino Manfredi, si adatta a vivere in un pollaio pur di lavorare in Svizzera. Siamo nel 2014: a quattro chilometri dal confine con il Ticino, a Germignaga, in provincia di Luino, sono stati trovati stipati in un fatiscente capannone-lager 17 persone disposte anche a lasciarci le penne per andare in Ticino a guadagnarsi la pagnotta. In un sistema ignobile di sfruttamento.

 

«Che scena mi sono trovato davanti agli occhi? Per farvi capire, faccio un unico esempio. Ha in mente una tradizionale doccia? Ecco, se la scordi. Nel capannone-lager gli operai si lavavano mettendosi in piedi nudi sopra i gabinetti alla turca e dal soffitto scendeva l’acqua da soffioni collocati alla bell’e meglio. Una situazione indegna, con un attacco abusivo alla rete elettrica (si erano allacciati a un pilone della luce pubblica), altamente pericoloso che durante l’alluvione ha rischiato di causare un’ulteriore tragedia per folgorazione. Senza esagerare posso affermare di avere assistito a una scena traumatizzante di persone costrette a vivere in una condizione indegna con l’aggravante, a mio parere, di essere stata pianificata nel dettaglio da chi l’ha architettata».


È arrabbiato, indignato, deluso. Di più: anche «scandalizzato» e «scioccato» Marco Fazio, il sindaco di Germignaga, comune dell’Alto Varesotto, dove una decina di giorni fa per caso è stato scoperto, durante le operazioni di soccorso e messa in sicurezza durante un’alluvione, il magazzino di via Volta trasformato in abitazione per 17 lavoratori. Di notte dormivano lì in condizioni inaccettabili, in un dormitorio-baracca improvvisato, i dodici italiani, tutti lucani della provincia di Potenza, i tre romeni (fra cui una donna che doveva occuparsi di tenere in ordine l’ambaradan), il polacco e uno svizzero che si presume avesse il ruolo di reclutare la manovalanza da portare al mattino a lavorare nei cantieri edili in Ticino del loro capo, quella brava persona che poi li stipava al calar della sera tutti assieme in un’abitazione improvvisata. C’è sempre chi trova il modo di guadagnare sulla pelle dei poveri diavoli.


I vigili del fuoco li hanno trovati immersi nell’acqua, con il piano terra del capannone allagato, ma ai 17 non è passata per la testa neanche per un attimo l’idea di abbandonare lo stabile che, a causa delle forti acque, si stava trasformando in una bomba a orologeria. I soccorritori hanno dovuto chiamare la polizia di Luino e le autorità comunali. Probabilmente questi “moderni schiavi” non sapevano dove andare, che cosa fare, ma durante lo sgombero del 5 novembre hanno dovuto fare fagotto con gli stracci che si portavano appreso e uscire in piena notte sotto il violento acquazzone dal loro precario “rifugio”, costituito da brandine e letti sgangherati. “Maître à penser” dell’ignobile trovata – che riporta agli anni del dopoguerra, quando era la norma sfruttare lo stato di bisogno di chi si trovava nell’indigenza assoluta – sarebbe Vincenzo Perretta, cittadino italiano di Potenza, residente a Bellinzona, responsabile della B.N. Costruzioni generali Srl di Romentino (Novara), che ha una succursale ticinese anche a Iragna, in Riviera. Il sospetto, per usare un eufemismo, è di caporalato: la Procura di Varese sta coordinando una vasta indagine di polizia di Stato e guardia di finanza. Bocche cucite dagli inquirenti: «L’inchiesta è in corso. Per il momento le autorità elvetiche non ci hanno contattato. Abbiamo messo sotto sequestro tre auto della B.N. Costruzioni con le quali venivano trasportati i muratori (gli italiani avevano un permesso come frontalieri, mentre gli altri erano irregolari) avanti e indietro dalla Svizzera per farli lavorare» ci spiega il capitano Alberto Potenza, al comando dalla compagnia della Guardia di finanza di Luino.


Non intendiamo fare del voyeurismo su un dramma umano, ci mancherebbe, ma vogliamo comprendere che tipo di assistenza è stata data a queste persone al momento dello sgombero e soprattutto quanto dovevano pagare per vivere in quella baracca. Questo sì. Quanto guadagnavano come muratori? Quanto spendevano per il dormitorio fatiscente e non a norma di legge? Insomma, il datore di lavoro Perretta quanto versava di stipendio effettivo, deducendo le spese per quella sorta di vitto e alloggio che aveva messo in piedi? Quanto restava in tasca a questi uomini dopo una giornata di fatica nei cantieri ticinesi alla mercé della B.N. Costruzioni, che quella sì ci guadagnava dal lavoro svolto dagli operai reclutati in Basilicata? Il capitano Potenza non dice una parola su questo aspetto, appunto le indagini in corso... Per quanto riguarda un’eventuale assistenza durante l’esondazione del torrente Margorabbia, no, non c’è stata. Emerge immediatamente e in maniera palese che dentro quel capannone si nasconde una storia di povertà e disperazione e di probabile sfruttamento, ma nella notte nessuno muove un dito.


«Volevo essere in primo luogo con i miei cittadini. Germignaga è stata colpita duramente dall’esondazione e stiamo ancora facendo la conta dei danni. Non ci è pervenuta una richiesta di aiuto specifica per gli occupanti del capannone (e chi mai avrebbe dovuta inoltrarla?, ndr). Al momento dell’intervento era attiva un’unità di crisi e la palestra era stata attrezzata con brandine nel caso avessimo dovuto evacuare dei cittadini dalle loro abitazioni. Ma come Perretta li aveva messi lì, doveva anche preoccuparsi di metterli al riparo. Non era un nostro compito» afferma Fazio, eletto sindaco nel 2014 per la lista “Iniziativa democratica per Germignaga”. Già. Dello stesso avviso il capitano Potenza: «Lui li ha portati qua e lui deve trovargli una casa». E poco importa se Perretta risulta da questo punto di vista poco responsabile, visto quanto è venuto alla luce. Dove saranno adesso queste 17 persone? «Certo, li abbiamo sentiti come testimoni. Sono persone sprovvedute. Non hanno detto nulla a noi, che cosa volete che dichiarino alla stampa?» continua il capitano. Un collega di una testata giornalistica del Varesotto ci riferisce voci di corridoio secondo cui i 12 italiani, tutti provenienti da Francavilla sul Sinni (stesso paese d’origine di Perretta,) sarebbero ora a Bellinzona, ma al riguardo non otteniamo nessuna conferma ufficiale. Intanto è stata emessa un’ordinanza di sgombero per lo stabile di via Volta e il Comune ha provveduto a inoltrare una denuncia per «abuso edilizio, costruzione abusiva e cambio di destinazione».
Il capannone non aveva infatti l’abitabilità, ma era destinato ad attività professionali. E così sembrava: «L’edificio si trova in un’area a destinazione artigianal-industriale. Si tratta di uno stabile suddiviso in tre ambienti occupati da ditte distinte. Uno di questi era stato affittato qualche mese fa dalla B.N. Costruzioni. Apparentemente si trattava di un’officina, ma passata una porta si nascondeva un mondo parallelo, dove erano stati ricavati alloggi precari in totale promiscuità e pericolosi per quanto riguarda la sicurezza. È stato un piano studiato con accuratezza, non si tratta certo di un’improvvisazione. Il tragico della vicenda è che Perretta era totalmente tranquillo, come se fosse tutto normale, anzi, si è presentato come un benefattore alla Olivetti...» evidenzia Marco Fazio.


Andiamo a vederlo questo capannone. A Germignaga continua a piovere, le onde del Lago Maggiore si alzano e battono contro il muro di contenimento. È una bella cittadina del Luinese quella che riusciamo a cogliere sbirciando a slalom dai tergicristalli che vanno a pieno ritmo. Inseriamo il navigatore e ci dirigiamo verso via Volta. La rotonda, una svolta a destra, ed eccoci arrivati. No, non è una zona deserta: la strada è animata, costeggia la statale dove si trovano parecchi stabilimenti industriali, carrozzieri, autolavaggi, e a qualche centinaio di metri c’è anche una filiale dell’Upim, «aperta anche di domenica».


Siamo arrivati. Non ci resta che scendere dall’auto. Entriamo in un negozio di piastrelle. «Signora, ci sa indicare il capannone dove sono stati scoperti i lavoratori che vivevano lì nascosti?». La risposta non si fa attendere: «Venga, venga in cortile che glielo mostro. Vede è lì. Ci sono le luci accese. Non è cambiato niente, sono ancora dentro perché continuo a vedere movimento. Ma che nascosti?! Io li vedevo al mattino andare a lavorare, ma pensavo fosse tutto in regola. Mica potevo immaginare una situazione così: povera gente! Ed è una vergogna che ci sia chi approfitta di persone alla canna del gas: che mondo! Ma la gente non ha più un cuore?» commenta l’anziana donna.


Arriviamo alla sede della B.N. Costruzioni: un cartello sgrammaticato indica dove «busare». Bussiamo a una porta incorniciata da finestrelle (alcune rotte). Lo stabile non è vuoto, l’ultimo piano è illuminato e una sagoma, come un fantasma, si affaccia da dietro ai vetri. Ma non ci apre. Nel piazzale sono posteggiate due autovetture con targhe ticinesi: un furgoncino Scudo della Fiat, intestato alla B.N. Costruzioni, e una Volkswagen Lupo che risulta dal numero di targa essere di un cliente dell’impresa edile. Si tratta del committente, residente a Castione, del cantiere di Cadenazzo, dove gli operai del Perretta sono impiegati. Il capitano Potenza ci ha dichiarato che tre mezzi della B.N. sono stati sequestrati: ne esiste un quarto? E che ci fa il committente in via Volta? Aiuta forse nelle operazioni di sgombero? Chissà.


La vicenda ha scosso al di qua e al di là del confine. I più ottimisti credevano fossero superate queste condizioni di lavoro, almeno da noi. Non sono più i tempi in cui in Basilicata, ma anche nelle fattorie della Svizzera tedesca, uomini e bestie dormivano assieme. Non era mica adesso un problema imputabile ai cinesi? Pare di no. Siamo a quattro chilometri dalla frontiera di Fornasette. Il sindaco teme un danno d’immagine e un accrescimento di sentimenti anti–italiani: «Sono disgustato per quanto emerso e allo stesso tempo preoccupato per come il Ticino possa reagire alla notizia: su una popolazione di oltre 3.800 abitanti, 400 sono frontalieri nel vostro cantone. Non vorrei che si accendessero tensioni...».
Fazio ha ragione a preoccuparsi, ma stia sereno, il problema, temiamo, è transfrontaliero...

Pubblicato il 

23.11.14

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