Processo Eternit

È morto il magistrato torinese Giuseppe Casalbore, figura nota ai lettori di area soprattutto per essere stato il giudice di prima istanza del maxi processo Eternit di Torino, il più grande mai celebrato in Europa. Ma nella sua trentennale carriera è stato sovente protagonista delle cronache italiane e “arbitro” di molti casi giudiziari particolarmente complessi che hanno fatto le prime pagine dei giornali. Ha lavorato fino ad agosto, quando è stato costretto ad arrendersi a una grave malattia che il 25 ottobre scorso se l’è portato via a soli 63 anni.

 

Il suo nome divenne famoso già nel 1984, quando, in veste di pretore, oscurò le tre reti Fininvest di Silvio Berlusconi ritenendo che esse violassero le leggi vigenti in materia di interconnessione tra emittenti locali. Una decisione che gli valse il titolo di “pretore che ha spento i puffi” (il famoso cartone animato che allora era uno dei punti di forza di Italia 1) e che scatenò reazioni rabbiose: sugli schermi fissi delle reti berlusconiane venne persino pubblicato il numero di telefono del suo ufficio. Sempre da pretore, multò i vertici della Fiat Gianni e Umberto Agnelli per delle irregolarità nell’importazione di automobili. Successivamente, in veste di giudice, condannò in primo grado il medico della Juventus nel celebre processo per doping.


Casalbore gestiva i processi con una severità e un piglio che incutevano quasi timore: non tollerava il minimo bisbiglio e tutto ciò che era estraneo a un’aula giudiziaria. Durante una delle 69 udienze del processo Eternit (particolarmente difficile da gestire per la folta presenza di avvocati, magistrati, giornalisti, cine- operatori e pubblico) fece per esempio rimuovere una bandiera tricolore con la scritta “Eternit giustizia” che i familiari delle vittime avevano osato appendere a una ringhiera: «Non siamo in piazza. Rimuovetela immediatamente», intimò. Per non parlare delle sue sfuriate quando udiva squilli di telefonini o quando intravedeva intenti dilatori nelle richieste di taluni avvocati o atteggiamenti irrispettosi. Come quando un testimone (Leo Mittelholzer, già amministratore delegato di Eternit Italia nonché socio in affari della famiglia del condannato ­– a 16 anni in prima istanza e a 18 in appello – Stephan Schmidheiny) accennò un sorriso per un rimprovero colorito rivolto da Casalbore a un avvocato: «Di cosa ride lei? Non c’è nulla da ridere di fronte alle tragedie che vengono raccontate in quest’aula!», esclamò il giudice.


Ma al di là del suo carattere un po’ burbero, Casalbore era un giudice apprezzatissimo per il rigore, lo scrupolo e la serietà con cui valutava prove e testimonianze, nonché per le sue straordinarie capacità di ricordare dettagli anche a distanza di mesi.


«Aveva il sacro fuoco di essere giusto, a costo di scontentare gli uni o gli altri» ha commentato il procuratore di Torino Raffaele Guariniello.
La sua morte ha suscitato commozione anche nella comunità di Casale Monferrato, sempre presente in massa al processo: l’Associazione familiari e vittime amianto in un comunicato lo ringrazia «per il suo rigore e l’estrema considerazione che ha saputo rivolgere, oltre che agli aspetti giuridici, per le vicende umane che sono alla base dell’immane disastro che ancora ci fa soffrire».

Pubblicato il 

06.11.13

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