In questi giorni si stanno svolgendo i campionati europei di calcio, organizzati congiuntamente da Polonia e Ucraina.
Si tratta sicuramente di un appuntamento interessante non solo dal punto di vista sportivo, perché consente di conoscere meglio due paesi tra loro molto diversi ma entrambi ricchi di tradizioni, arte, cultura.
Tuttavia, con l'avvicinarsi dell'evento, l'attenzione si è spostata su un aspetto decisamente sgradevole della competizione, quello del razzismo e della violenza negli stadi. In effetti, in Ucraina ed in Polonia, gli ultimi anni hanno segnato una preoccupante crescita degli episodi di razzismo.
Negli ultimi mesi, diverse emittenti televisive europee, a partire dalla Bbc, hanno realizzato inchieste sul fenomeno del tifo violento nei due paesi ospitanti. La diffusione di questi reportage ha riacceso i riflettori sul razzismo nello sport, moltiplicando i timori e le polemiche per quello che potrebbe accadere agli Europei 2012.
L'ex capitano della nazionale inglese Sol Campbell ha dichiarato che gli Europei di calcio non si sarebbero dovuti organizzare in paesi noti per la violenza razzista delle loro tifoserie. Campbell ha invitato i tifosi inglesi a non seguire la loro squadra in Polonia, ma a rimanere a casa davanti al televisore per evitare rischi.
Anche il governo britannico ha preso posizione, invitando i tifosi inglesi di origine africana e asiatica a prestare "particolare attenzione".
Gli allarmi lanciati dalla Gran Bretagna hanno suscitato forti reazioni sia in Polonia sia in Ucraina.
Il primo ministro polacco Donald Tusk ha tentato di rassicurare tutti, spiegando che chiunque arriverà in Polonia non correrà rischi e che il suo paese confermerà la sua grande ospitalità. Dall'Ucraina è arrivata la reazione del Ministero degli esteri che attraverso il suo portavoce Oleh Voloshyn ha replicato: «Potete criticare la nostra società per un sacco di cose, ma in fatto di razzismo molti paesi dell'Unione europea battono l'Ucraina per distacco».
Forse Voloshyn non ha tutti i torti, soprattutto se riflettiamo su quanto accade quasi quotidianamente nei paesi dell'Europa occidentale.
Mentre si iniziavano gli Europei, a Bari si è svolta una manifestazione forse meno interessante calcisticamente, ma certamente più incoraggiante da quello umano: i campionati mondiali dell'immigrazione. Un centinaio di giocatori di quindici nazionalità, raggruppati in quattro squadre (Africa, Asia, Europa, Italia), si sono sfidati all'insegna dell'amicizia per ricordarci che lo sport può unire, mentre il razzismo non fa altro che dividere.

Pubblicato il 

22.06.12

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