Una nuova sconfitta alle urne per Laura Sadis. Il popolo ticinese ha respinto, con una certa chiarezza, l'introduzione della meritocrazia nell'amministrazione pubblica cantonale. Per la direttrice del Dipartimento finanze ed economia (Dfe) è il secondo smacco dopo il rifiuto, un anno fa, della riduzione dell'aliquota d'imposta per le persone giuridiche. E all'orizzonte si profilano altre votazioni che per Sadis si prospettano per lo meno molto complicate: quella sugli orari d'apertura dei negozi e, se dovesse arrivare, anche quella sull'amnistia fiscale.
Gli argomenti rispetto all'era Masoni non sono dunque cambiati: meno tasse, riforma efficientista dell'amministrazoine, deregolamentazione del mondo del lavoro. Chi dirige le finanze e l'economia cantonali, cuori pulsanti dello Stato e dell'intero cantone, continua imperterrito a perseguire un ideale di meno Stato con una politica sostanzialmente coerente che dura da 15 anni. Oggi forse con qualche differenza di metodo rispetto al passato, ma non di contenuto. E neppure il metodo di Sadis, poi, è tanto diverso da quello di Masoni: i sindacati lo sanno bene, avendo incassato dapprima l'imposizione della meritocrazia e poi quella della deregolamentazione degli orari d'apertura dei negozi.
In queste condizioni il ricorso alle urne per sindacati e sinistra è inevitabile. Domenica l'hanno avuta vinta, in una votazione assai più difficile di quanto il 54 per cento di voti contrari per finire non lasci intendere. Era una votazione insidiosa perché poggiava su vent'anni di propaganda leghista costantemente mirata alla delegittimazione dello Stato e alla denigrazione dei suoi dipendenti e perché arrivava dopo una crisi della quale molti salariati del privato hanno subito pesanti contraccolpi. Eppure i cittadini ticinesi, fra cui ampie fette di elettorato borghese, hanno deciso di difendere una visione diversa dello Stato e del ruolo di chi ci lavora. E non tutti coloro che hanno votato sono dipendenti statali o loro parenti, anzi: la grande maggioranza di loro lavora nel privato, lo conosce bene e ha quindi potuto vedere in azione anche i salari al merito. Con piena cognizione di causa ha deciso che non fossero indicati per l'ente pubblico.
Il popolo ticinese, per l'ennesima volta, ha dunque respinto un progetto di riforma di stampo neoliberista. Dimostrandosi molto autonomo rispetto al coro dominante nella classe politica, nei media, nei blog e forse anche nei bar. Di questo Ticino ampio, diffuso e silenzioso è forse ora di cominciare a tenere conto. A meno di non voler andare incontro ad una nuova sconfitta alle urne. Per esempio già sulla Legge sugli orari di apertura dei negozi.

Pubblicato il 

03.12.10

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