L'economia tira come non ha mai fatto in Svizzera negli ultimi anni. Tuttavia le ricadute positive della ripresa, contrariamente a quanto accadeva in passato, non sono per tutti. Mentre la rimunerazione del capitale non cessa di crescere a ritmi vertiginosi e ha già riassorbito il trauma dell'11 settembre, quella del lavoro marcia sul posto o fa soltanto timidi passettini in avanti. Lo dimostra il bilancio delle trattative salariali 2006, che se sono in generale soddisfacenti non danno però adito a grossi entusiasmi.
Certo quest'anno gli aumenti sono superiori a quelli strappati nel 2005, e in molti settori si è riusciti ad invertire la tendenza e a cominciare a recuperare almeno una parte di quanto gli ultimi anni avevano eroso in busta paga. Ma se un aumento salariale del 4 per cento per tutti e del doppio per le donne annunciato ad inizio anno dall'Unione sindacale svizzera era più che altro un obiettivo di riferimento ideale, è ben vero che non in tutti i settori si è ottenuto almeno quel due per cento che era il vero obiettivo minimo. Insomma, il rincaro e non molto di più. Il padronato risponde indicando gli aumenti individuali e soprattutto i bonus e le gratifiche di fine anno grazie ai quali l'aumento percentuale sarebbe maggiore. I bonus però, così di moda da noi mentre stanno ormai per tramontare negli Usa (cfr. area n. 50 del 15 dicembre), non portano ad un aumento duraturo degli stipendi. Ci sono quest'anno, possono non esserci il prossimo. E dipendono da decisioni poco trasparenti se non arbitrarie dei vertici aziendali.
Quest'anno si è dunque visto in tutta la sua limpidezza la strategia padronale: assolutamente non concedere un aumento reale degli stipendi, anche se questo sarebbe più che giustificato dall'ottimo andamento dell'economia svizzera, dall'alta produttività della manodopera e dal bisogno di sostenere il mercato interno. Piuttosto i bonus, se le cose davvero vanno bene. Così però il rischio d'impresa viene completamente scaricato sulle spalle dei salariati, mentre il capitale azionario (quello che una volta si definiva "il capitale rischio") ne viene esentato: se in futuro le cose dovessero andar meno bene, basterà non più concedere bonus a fine anno – intanto i dividendi potranno rimanere invariati se non addirittura continuare a crescere.
Questa rinuncia al rischio da parte del capitale a spese dei lavoratori è una tendenza che si va consolidando. Lo confermano tra l'altro l'aumento dei lavoratori interinali e quello degli ex-salariati costretti ad inventarsi indipendenti. Ma mentre si sottrae al rischio d'impresa, unica vera molla di un autentico libero mercato, il capitale moderno per bocca dei suoi ideologi esige la massima disponibilità al rischio da parte di tutti gli altri. Lavoratori in testa. È probabilmente questa, così ipocrita, la forma più bassa ed immorale di capitalismo che si sia conosciuto. Anche perciò la lotta per salari più equi deve continuare.

Pubblicato il 

22.12.06

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