Lavoro

Eusebio, vescovo di Cesarea in Palestina, disprezzava i millenaristi. Un disprezzo simile al sorriso di compatimento con cui oggi i ministri responsabili dell’armamento considerano i pacifisti che si oppongono all’aumento delle spese militari: sognate pure un’umanità senza guerre, ma nel mondo reale queste sono inevitabili. I millenaristi sognavano che prima del giudizio universale si sarebbe instaurato una specie di paradiso in terra della durata di mille anni, durante il quale tutte le vittime di ingiustizie, i martiri, gli offesi, gli umili sarebbero vissuti di nuovo, restituiti nella loro dignità e felici. Favole e fantasie concepite da uomini corti di cervello, affermava il vescovo.


Ma sarebbe sbagliato – ha scritto Ernesto Buonaiuti – accettare questo giudizio. Eusebio, autore, oltre alla Storia ecclesiastica, di una biografia dell’imperatore Costantino e definito da Jacob Burckhardt «il primo storico interamente disonesto dell’antichità», alla conclusione del concilio di Nicea nel 325 aveva partecipato con entusiasmo al banchetto offerto dall’imperatore ai vescovi riuniti. Non una favola, ma una cosa ben reale, che sembra avesse lasciato nella sua memoria un ricordo molto più gradito delle discussioni conciliari, fino a portarlo a definire quel banchetto un’anticipazione del Regno di Dio.
Il definitivo precipitare a destra del governo federale è stato accolto in Ticino il 28 settembre scorso non come l’avvento del Regno di Dio, ma quasi. Alte uniformi, feluche, lacrime d’emozione, la banda del Malcantone, diretta televisiva, banchetto al Palasport di Bellinzona. Qualcuno ha parlato perfino di una prima splendida lezione pratica di Civica, la materia finalmente introdotta nelle scuole come insegnamento a sé stante.


Quest’ultimo accostamento è un po’ ardito. Sarà difficile per gli insegnanti spiegare ai ragazzi la differenza fra una mozione, un’interpellanza e un’iniziative generica o un’iniziativa elaborata mentre «la politica non sempre si presenta con un’immagine civicamente ineccepibile», come si è potuto leggere, ma è un eufemismo. È umiliante per esempio trovare nel recente progetto governativo di riforma fiscale l’aggettivo «sociale» per rendere simpatico il tutto, e frasi come «migliorare l’attrattiva fiscale del nostro Cantone nel contesto intercantonale», «le imprese attualmente sottoposte ad un trattamento fiscale privilegiato potrebbero trasferirsi altrove» cioè tirare i ricchi per la giacca affinché non scappino. Frasi che sembrano tratte dal Libro bianco di Carlo Pelanda del 1998: «Nel prossimo futuro solo i territori capaci di fare scelte “forti” riusciranno a prosperare nella nuova economia globale. […] I territori che, invece, faranno scelte “deboli” sul piano della competitività, verranno selezionati negativamente.» Deboli? Selezionati? Parole dal suono sinistro.


Alla conferenza stampa di presentazione del progetto il 18 settembre il rappresentante socialista in governo avrebbe potuto dichiarare: scusate, ho passato la notte a riflettere e ho deciso di non sottoscrivere la presente riforma fiscale perché come socialista difendo i salari dei dipendenti delle imprese, non il patrimonio dei padroni. E il rappresentante liberale: non condivido questa controriforma perché Stefano Franscini quando fondò nel 1833 la Cassa di Risparmio stabilì che dovesse pagare ai depositanti un interesse del 4% e potesse concedere al Cantone prestiti al 4,5%, con questo “calmierando” i prestatori privati che fino ad allora prelevavano dallo Stato un interesse del 5%. E il rappresentante PPD: rifiuto questo progetto perché nel primo capitolo del vangelo di Luca non è scritto «ha colmato di beni i ricchi e ha mandato via a mani vuote gli affamati», ma il contrario. Bisogna riprendersi il diritto di sognare.

Pubblicato il 

12.10.17

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