Si apre uno spiraglio di speranza per le vittime svizzere dell'amianto. Dopo decenni di resistenze e tergiversazioni di un potere politico storicamente più "sensibile" agli interessi economici degli industriali che ai diritti dei lavoratori e dei cittadini comuni, da Berna giunge finalmente una decisione che potrebbe spalancare le porte della giustizia a questa categoria di esclusi.

Sono persone che si ammalano gravemente (e muoiono) anche trenta o quarant'anni dopo l'esposizione alla fibra killer, senza poter far valere, a differenza di quanto capita in Europa, alcuna pretesa di risarcimento. La legge in vigore e la rigida giurisprudenza dei tribunali svizzeri, incuranti del lungo periodo di latenza delle patologie  (in particolare del mesotelioma), impongono infatti che una causa giudiziaria per un danno alla salute debba essere inoltrata al più tardi entro dieci anni dall'evento che l'ha causato. Questo fa sì che la stragrande maggioranza delle vittime dell'amianto, quando si accorge di essere stata danneggiata, non ha più nemmeno diritto a un risarcimento, per esempio dal datore di lavoro che, in modo consapevole e nel nome della massimizzazione dei profitti, l'ha esposto al rischio.
Ora il Consiglio federale, al fine di «meglio tutelare» le vittime di danni tardivi, propone di prolungare il termine (detto di prescrizione) a trent'anni. Lo fa nell'ambito di un progetto di revisione generale della legge, che è stato presentato settimana scorsa. Le conseguenze pratiche della decisione governativa sono ancora tutte da verificare e può anche essere che giunga troppo tardi per le vittime dell'amianto.
Essa rappresenta tuttavia una svolta rispetto alla politica portata avanti negli anni passati dal governo, che non ha mai voluto risolvere il problema della prescrizione, anteponendo alle aspettative delle vittime gli interessi economici degli industriali e degli assicuratori che sarebbero potuti essere chiamati alla cassa.
Ma successivamente, su spinta dell'Associazione delle vittime dell'amianto e di fronte al moltiplicarsi di casi di giustizia negata, si è mosso il Parlamento, approvando nel 2008 una mozione con cui si obbligava il Consiglio federale a rivedere i termini di prescrizioni «in modo che anche per i danni tardivi sia dato il diritto al risarcimento».
Il governo ci ha impiegato quasi tre anni a svolgere il compito affidatogli e a sottoporre le sue proposte a tutte le parti interessate (partiti, associazioni padronali, sindacati, eccetera) nella tradizionale procedura di consultazione.
Entro il 2013 il Consiglio federale dovrebbe poi elaborare il messaggio da sottoporre per approvazione alle Camere federali. Un'entrata in vigore delle nuove norme non è pensabile prima del 2016 o del 2017.
Se si tiene conto del fatto che in Svizzera l'amianto è stato bandito nel 1990 (anche se in alcune aziende, in deroga alla legge, lo si è utilizzato ancora per anni) e che l'esposizione  alle polveri di amianto di molti lavoratori e cittadini (in particolare quelli che vivevano nei pressi degli stabilimenti) è in gran parte avvenuta nei decenni precedenti, per queste vittime un prolungamento del termine di prescrizione, rischia di giungere fuori tempo massimo per ottenere un risarcimento.
A meno che il Parlamento non decida un'applicazione retroattiva della nuova legge. Si tratta di un'ipotesi che il Consiglio federale non scarta a priori e che figura del resto nell'avamprogetto come possibile variante. «In linea di principio -spiega Felix Schöbi dell'Ufficio federale di giustizia- il governo ha deciso di non prevedere la retroattività, ma ha voluto porre la questione». «L'effetto retroattivo -si legge in un rapporto esplicativo- tiene conto della volontà politica di migliorare la protezione delle vittime di danni tardivi. Il Consiglio federale è tuttavia consapevole che la retroattività è contraria al principio della certezza del diritto, tanto più che potrebbe causare la riapertura di procedimenti già passati in giudicato».
«Sarà la procedura di consultazione a stabilire quali dei due principi avrà più probabilità di ottenere il favore di una maggioranza politica in Parlamento e dunque quale dovrà prevalere», afferma Schöbi. «I giuristi -prosegue- mostrano grosse resistenze nell'accettare la retroattività. D'altro canto per le vittime costituisce una sanzione pesante la perdita di ogni diritto al risarcimento solo perché la malattia subentra molti anni dopo. Alla fine la decisione spetterà ai politici».  «Una decisione -conclude Schöbi- che potrebbe anche essere condizionata dall'esito dei diversi procedimenti riguardanti vittime dell'amianto pendenti davanti alla Corte di Strasburgo, chiamata a giudicare la compatibilità delle norme svizzere in materia di prescrizione con la Convenzione europea dei diritti dell'uomo».

Pubblicato il 

09.09.11

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