L'intervista

Gian Luca Lardi, nato a Poschiavo 45 anni or sono, abita da un decennio nel comune ticinese di Rovio, dove siede in Consiglio comunale nelle file del Partito liberale radicale. Di formazione ingegnere, è alla testa della CSC Impresa Costruzioni SA di Lugano (gruppo Impregilo). Dal 1° gennaio di quest’anno ha assunto la carica di presidente della Società svizzera impresari costruttori (Ssic), succedendo a Werner Messmer.
Quale primo presidente italofono nella storia della Ssic, parteciperà ai negoziati per il rinnovo del Contratto nazionale mantello (Cnm) 2015 per l'edilizia principale. Trattative bloccate dal precedente presidente Messmer in relazione alla polemica sulla collaborazione tra Unia e Allreal, società specializzata sull’analisi dei rischi aziendali. area ha incontrato il neo presidente della Ssic.

 

Ingegner Lardi, anche il semplice cittadino si rende conto che l’edilizia è andata a gonfie vele negli ultimi tempi. Eppure, dal 2010 a oggi, gli aumenti salariali agli edili sono stati ben poca cosa se paragonati ai ritmi del settore. Perché?
I soli aumenti dei minimi salariali contrattuali non rispecchiano la realtà. Se si confrontano salari e indice dei prezzi al consumo, si osserva un aumento reale del 6,2%. Inoltre, dalle nostre inchieste risulta che i salari versati sono ben maggiori dei minimi contrattuali. Questo indica una responsabilità aziendale molto forte assunta dai nostri associati. Infatti, sebbene il volume sia aumentato, il rapporto fra prezzo e costo è rimasto invariato, se non diminuito. Ciò significa che i margini di profitto non sono cresciuti, mentre è aumentato notevolmente il volume.


Come spiega la guerra dei prezzi tra le imprese di costruzione?
Abbiamo un mercato con un’offerta quasi illimitata di manodopera grazie al bacino dei paesi limitrofi e non solo. I muratori esteri cercano degli stipendi migliori emigrando in Svizzera. Le imprese dunque non si trovano mai senza manodopera. In un mercato sano dove richiesta e offerta sono in equilibrio, un impresario dovrebbe rifiutare dei lavori quando non dispone della manodopera per realizzarli. E invece c’è questa insaziabilità, purtroppo, di accettare tutti i lavori perché si è certi di poterli soddisfare.


Il prezzo di vendita degli immobili è salito alle stelle. Dalla guerra dei prezzi nella costruzione, ci perdono i lavoratori e le imprese, mentre gli immobiliaristi ne traggono un profitto enorme…
Concordo con i committenti pubblici o istituzionali quando dicono che non è mai stato così conveniente costruire. Il costo di costruzione è basso, mentre il prezzo di vendita è elevato. Il profitto dunque non va alle imprese di costruzione, ma soprattutto ai committenti che rivendono.


C’è chi imputa parte della forte pressione sui prezzi alla concorrenza sleale, dove molte ditte “giocano sporco” soprattutto coi subappalti. Il settore si è dato delle regole per contrastare la piaga, quale la responsabilità solidale. Un passo avanti, ma perfettibile. Molte voci chiedono che anche il committente sia chiamato alla responsabilità solidale. Condivide?
L’introduzione della responsabilità solidale ha dimostrato quanto la Ssic andava dicendo: la sua inutilità e inefficacia, col solo risultato di aumentare i costi amministrativi. Il problema sta a monte: non riusciamo a controllare a tappeto il mercato. Da un lato per le risorse insufficienti, dall’altro perché le commissioni paritetiche controllano poche imprese ma nel dettaglio. Dovremmo invece avere un sistema più semplice da controllare, permettendo così il controllo di molti più attori. C’è la tendenza ad arenarsi nel dettaglio nei riguardi delle ditte che applicano il Cnm, mentre si tralasciano i piccoli cantieri senza le infrastrutture sufficienti.


Succede anche nei grossi cantieri, vedi Lac di Lugano, dove nei meccanismi dei subappalti si è arrivati al degrado. E ciò nel contesto di un appalto affidato al consorzio che ha fatto un’offerta di 40 milioni di franchi inferiore alle ditte concorrenti.
Sì, la committenza confonde spesso il prezzo basso con un prezzo economico. Focalizzandosi sul prezzo più basso, si sceglie l’impresa che in fase di realizzazione farà di tutto per comprimere i costi. Sovente più si risparmia sul costo, minore sarà la qualità dell’opera e il rispetto dei tempi d’esecuzione. E se calcoliamo il costo del ritardo dell’opera, la spesa finale sarà maggiore del presunto risparmio sull’offerta. Sensibilizzare la committenza su questi aspetti è una delle mie principali attività quale presidente Ssic.


Nella Svizzera italiana da anni si sta modificando il concetto di fare impresa. Dal modello d’impresa-famiglia, con un alto numero di operai per molti anni alle dipendenze, si sta passando a un’azienda con qualche assistente, qualche capo cantiere e un ristretto nucleo di muratori. Poi, a seconda dei lavori, ci si affida a interinali o subappalti. Nella Svizzera tedesca questa tendenza è meno netta, seppur il ricorso a subappalti sia notevole. È un modello vincente?
Come impresario, il mio obiettivo non può essere spogliare la nostra attività per buttar lì un prodotto di scarsa qualità, lasciando al committente i problemi successivi da risolvere. Se la qualità è un valore, questo non può essere il futuro. Purtroppo la tendenza va nell'altra direzione. A corto termine può darsi abbia successo, ma a lungo termine non lo credo.


Anche in questo caso, impresari e sindacati non dovrebbero fare fronte comune?
Più si migliorano le condizioni di lavoro nel Cnm, maggiori saranno le differenze con le ditte estere e chi non rispetta il contratto. Se l’asticella è troppo alta, il divario favorirà lo sviluppo dei soggetti pronti ad aggirare le disposizioni. Non vorrei essere frainteso. Non voglio peggiorare le condizioni di lavoro, ma rendo attenti sui rischi nel volerle migliorare.


Sempre in Ticino, ma il discorso è estensibile ai cantoni romandi, si assiste a un’esplosione dei lavoratori in classe C (manovali), sia tra gli assunti sia interinali. Possibile che oggi le nostre case siano costruite dai semplici manovali?
È un fenomeno che penalizza le imprese storiche mentre favorisce le imprese appena arrivate sul mercato. Credo che la classificazione salariale sia da rivedere, poiché i paletti troppo rigidi sono controproducenti e creano quelle distorsioni che lei ha citato. Nuovamente si pone il discorso dove posizionare l’asticella. Se troppo alta, incita alla scorciatoia per aggirarla. Dobbiamo dunque modernizzare il Cnm perché non risponde più alle esigenze attuali del mercato, ben diverso dai tempi quando fu concepito.


Lei si dice convinto della necessità del Cnm, con regole obbligatorie valide per tutti gli attori della costruzione. Negli ultimi anni il campo di applicazione si è però ristretto. Lei è favorevole alla riduzione del suo campo d’applicazione?
Preferirei un Cnm più ampio, ma semplificato in modo da rendere più efficaci l’applicazione e il controllo.
Il padronato del granito ticinese vorrebbe uscire dal Cnm. In realtà si potrebbe ripristinare il contratto del granito cantonale.
Una frammentazione eccessiva in contratti di settori numericamente piccoli per addetti rischia di creare apparati costosi e poco efficaci sul fronte del controllo. Si dovrebbero invece modernizzare i sistemi per affrontare le sfide del mercato odierno. La nostra forza è sempre stata che padronato e organizzazione dei lavoratori hanno trovato insieme delle risposte ai problemi posti dal mercato.


Perché allora da parte di alcuni impresari (e membri della Ssic nazionale) si lavora per creare Novatrava, un sindacato dei quadri dell’edilizia in collaborazione col Syna per creare un nuovo contratto di categoria col fine di escludere Unia? Non è in contrasto con quanto lei sta dicendo?
Non c’è alcuna strategia per escludere Unia. La Ssic deve tener conto dei vari scenari. Ritorno al discorso di dove si vuole posizionare l’asticella.


Nei fatti, si creerebbe un nuovo contratto di categoria al di fuori del Cnm, senza le condizioni per decretarlo di forza obbligatoria perché il sindacato maggioritario (Unia) non sarebbe firmatario.
Non sarebbe una scelta motivata da una questione di principio. La Ssic riterrebbe che l’altra soluzione penalizzerebbe talmente tanto il settore, che varrebbe la pena scegliere l’altra opzione.


Le relazioni col partner sociale maggioritario del settore ne soffrirebbero…
Indubbiamente. E sarebbe un peccato indebolire la tradizione di partenariato. La questione è proprio quella: riusciamo a ritrovare il vero partenariato o la situazione è talmente bloccata che il compromesso diventa irraggiungibile?


Come si usa dire, lei sarà il presidente di tutte le imprese svizzere. Un presidente svizzero- italiano si tradurrà in una maggiore attenzione alle diverse sensibilità provenienti dalle varie regioni del paese? In altre parole, la Ssic sarà meno Zurigo-centrica?
Credo sia uno dei motivi per cui sono stato eletto. Grazie all’esperienza accumulata nel particolare mercato ticinese, da parte mia vi è una maggiore apertura a stimoli da regioni periferiche. Ad esempio, sono aperto ai nuovi sistemi di controlli del Cnm discussi in Romandia.


Veniamo a un altro tema spinoso. Il rischio delle analisi Allreal-Unia ha destato molto scalpore in Svizzera tedesca, tanto da far interrompere le trattative tra Ssic e sindacati. Ma sapere a che tipo d’impresa si affidano i lavori (magari in subappalto), non è un’esigenza delle stesse imprese?
Ciò che riteniamo inaccettabile è l’atteggiamento unilaterale di Unia, che scavalca il lavoro paritetico. Mi ha molto colpito il forte valore attribuito dalle nostre imprese dell’edilizia principale e secondaria al principio paritetico. Averlo leso ha fatto passare in secondo piano l’esigenza di conoscere i rischi aziendali.


La soluzione potrebbe essere offrire questo servizio in modo paritetico?
Ribadisco: abbiamo un problema di controllo d’implementazione del Cnm, non di contenuto. Se si vuole farlo assieme, da parte nostra siamo aperti alla discussione.


Da queste colonne, lei si rivolge in modo preferenziale agli edili di questo paese. Da presidente degli impresari svizzeri, quale messaggio vorrebbe rivolgere loro?
Vorrei sottolineare ai collaboratori che il successo dell’economia svizzera risiede sì nella qualità e affidabilità, ma pure nelle possibilità offerte dal mercato del lavoro liberale. Il margine di manovra importante delle imprese ha dei benefici decisivi per la manodopera. Penso al livello degli stipendi e alla disoccupazione. Confrontiamo il nostro mercato del lavoro con quello italiano o francese: le cifre parlano da sé! Ci vuole un compromesso che dia benefici al personale e la libertà d’azione alle imprese per aver uno sviluppo a lungo termine.

 

Pubblicato il 

04.03.15
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