Votazione del 24 novembre

Il dibattito politico sull’iniziativa popolare “1:12 – Per salari equi” si è intensificato nelle ultime settimane. Numerose sono infatti le prese di posizione su questa proposta partita dai Giovani socialisti (Giso), che andrà in votazione il prossimo 24 novembre. Ad animare la discussione, però, non sono tanto le dichiarazioni favorevoli o contrarie per principio, quanto le diverse previsioni sulle possibili conseguenze qualora l’iniziativa venisse approvata.

 

“Il salario massimo versato da un’impresa non può superare di oltre dodici volte il salario minimo versato dalla stessa impresa”: è questo che l’iniziativa 1:12 propone di stabilire nella Costituzione. Tale richiesta è maturata in un contesto che ha visto i salari massimi crescere negli ultimi anni molto più di quelli medi, in particolare nel settore terziario. L’opinione pubblica è perciò diventata sempre più critica, specialmente se i top manager ricevono stipendi e bonus molto elevati anche quando le rispettive aziende non vanno affatto bene. Se nel 1984 il capo di una grande impresa svizzera guadagnava in media circa sei volte più di un normale collaboratore, oggi la retribuzione di un Ceo (amministratore delegato o presidente di direzione generale) è 43 volte superiore a un salario normale.


L’iniziativa dei Giso vuole mettere un freno a questa tendenza, con una proposta semplice ed efficace: nessun manager può guadagnare in un mese più di quanto guadagnano i suoi sottoposti in un anno. Scontata, naturalmente, l’opposizione di principio della destra politica e dell’economia. Tutti i partiti presenti in parlamento, eccetto il Ps e i Verdi, si sono schierati contro l’iniziativa. E sono ovviamente per il “no” le principali organizzazioni dei datori di lavoro, quali l’Unione padronale svizzera, l’Unione svizzera delle arti e mestieri, Economiesuisse. A proposito di quest’ultima, che è la principale associazione economica svizzera, è emblematica l’intervista rilasciata dal suo presidente, Heinz Karrer, alla Nzz am Sonntag del 29 settembre.


«La giustizia [socialmente parlando, ndr] è qualcosa di estremamente soggettivo», ha affermato Karrer in risposta alla domanda sul perché un manager debba guadagnare più di dodici volte che un suo impiegato. «Perciò essa non dovrebbe essere regolata mediante imposizioni salariali. Ovviamente i salari devono essere socialmente accettati, e non voglio mettere in discussione che vi siano salari troppo alti. Ma questi concernono solo poche persone, mentre dovremmo parlare di quel 95 per cento che ha salari sostenibili. Quelli da mezzo milione a un milione di franchi sono salari alti, ma sostenibili, se chi li riceve fa un buon lavoro».


Karrer, che è anche Ceo del gruppo energetico Axpo, ha detto di percepire uno stipendio annuo tra 550 e 900 mila franchi dalla sua azienda dove il salario minimo è di 60 mila franchi all’anno. Come la prenderebbe, allora, se l’iniziativa 1:12 lo costringesse a guadagnare di meno? A preoccuparlo, ha risposto, sono soprattutto le ripercussioni sull’intero sistema: «Lo stato non può stabilire la fascia salariale. Se lo facesse, ne soffrirebbe la capacità concorrenziale del Paese. Queste cose le possono inventare solo persone che non si sono mai mosse in un ambito lavorativo».


Così la pensa l’economia. Eppure persino il Consiglio federale, che respinge l’iniziativa, nella sua presa di posizione ha affermato di «comprendere in parte i motivi che muovono i promotori». D’altronde, che tali motivi siano validi e che la proposta dei Giso sia perfettamente attuabile, contrariamente a quanto sostengono le associazioni padronali e i partiti borghesi, lo dimostra l’esempio di un’azienda di successo: la Victorinox, quella che fabbrica il famoso coltellino svizzero. Il suo presidente, Carl Elsener, guadagna 300 mila franchi all’anno, sei volte il salario più basso (50 mila franchi) pagato nella sua azienda.


Con più di 1'800 dipendenti in 130 Paesi e un fatturato di 500 milioni di franchi, la Victorinox opera a livello globale ma rimane un’azienda svizzera tradizionale, legata ai valori elvetici. Il suo “patron” Carl Elsener, a proposito dei percettori di remunerazioni abusive come l’ex capo della Novartis, ha dichiarato al settimanale sindacale Work: «Esagerazioni come quella di Daniel Vasella sono malsane e mettono in pericolo la pace del lavoro». Un’altra dimostrazione viene dalla catena di discounter Lidl, che ha deciso (forse strumentalmente, per non abbassare gli stipendi dei manager) di aumentare a 4 mila franchi il salario minimo mensile.


Quanto alle conseguenze dell’iniziativa, secondo il centro di ricerche congiunturali Kof di Zurigo, se approvata essa toccherebbe 1.200 aziende e 4.400 manager, le cui retribuzioni sarebbero limitate a 664 mila franchi. Verrebbero a mancare 1,5 miliardi di massa salariale (lo 0,5 per cento del totale) e 125 milioni per l’Avs. Non sono però quantificabili le conseguenze sulle finanze pubbliche.


Un altro studio condotto da Denknetz (gruppo di riflessione di sinistra) e promosso dai Giso, prevede invece poche perdite fiscali, tra i 30 e i 50 milioni di franchi, visto che i salari bassi sarebbero ritoccati al rialzo e le entrate degli azionisti aumenterebbero. Saranno dunque favoriti i consumi. Tali risultati contrastano con quelli di uno studio dell’Università di San Gallo, commissionato dall’Unione svizzera delle arti e mestieri, che prevede perdite annue per centinaia di milioni, forse miliardi.


Uno scenario, questo, contraddetto dal Consiglio federale nella sua risposta ad un’interpellanza del consigliere nazionale friburghese Jean-François Rime, dell’Udc, che chiedeva quali sarebbero le ripercussioni finanziarie dell’iniziativa 1:12 sull’Avs. Il governo ha risposto che, rimanendo la massa salariale invariata (nel senso che gli alti salari verrebbero abbassati e quelli bassi aumentati), si avrebbe un «effetto neutro sulle entrate delle assicurazioni sociali». Altre previsioni, secondo il Consiglio federale, sono impossibili da fare.

 

Pubblicato il 

09.10.13

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