La mano invisibile

Il sofisma è un modo di ragionare ingannevole; in apparenza ti presenta qualcosa di verosimile e logico, in realtà ti mena per il naso. Famoso è il sofisma di Peano (un matematico italiano) che voleva dimostrare, per assurdo, la necessità di distinguere le proprietà di un insieme dalle proprietà degli elementi dell’insieme (“se Pietro e Paolo sono apostoli e gli apostoli sono dodici, Pietro e Paolo sono dodici”).
Tre economisti tedeschi hanno pubblicato su una prestigiosa rivista uno studio in cui si dimostra che l’imposta sull’utile delle persone giuridiche (società, impresa) incide solo parzialmente sugli azionisti. In Germania addirittura il 40 per cento della tassa è riportato sul salario dei dipendenti. In termini concreti: se aumenti di un franco l’imposta sull’utile, ecco che scatta una diminuzione di 40 centesimi della busta paga. Si tratta di una media: donne e giovani pagherebbero una quota ancor maggiore. Questo meccanismo è diventato sistema, funziona anche in Svizzera.


Il sofisma dove sta? Sta in un commento udito alla nostra Radio da parte di un rappresentante dell’economia con il solito chiodo fisso delle eccessive imposte pagate dalle imprese. Furbescamente, con apparente logica e generosità salariale, conclude: se noi abbassassimo le imposte sulle imprese, calerebbero – è vero – le entrate fiscali dello stato, avremmo però importanti aumenti salariali poiché quell’incidenza sui salari dimostrata dagli studiosi germanici diminuirebbe. Insomma, un perfetto sofisma di Peano: perché i salariati diventano improvvisamente impresa e azionisti-proprietari, contribuendo a versare imposte sugli utili, se poi rimangono dipendenti e non si pigliano gli utili sotto forma di dividendi distribuiti agli azionisti-proprietari?


Questi trucchetti sono funghi cresciuti in un sistema, diventati possibili a causa della finanziarizzazione dell’impresa sviluppatasi a partire dagli anni Ottanta con la liberalizzazione dei mercati finanziari e la globalizzazione. È stata una trasformazione della proprietà economica che si è volta progressivamente verso l’azionariato e ha modificato radicalmente la conduzione dell’impresa (la famosa “governance”), conduzione che ha fatto degli interessi degli azionisti il valore fondamentale e sempre a danno di quello dei salariati. Tanto che (e nessun uomo di buon senso lo capisce) quando ti liberi dei lavoratori, i corsi delle azioni aumentano, perché il lavoro è solo un costo da eliminare. Tanto che (ed è il non-senso che attanaglia ancora le economie) gli investimenti nell’economia reale sono spesso abbandonati non perché ritenuti non redditizi, ma perché non sufficientemente redditizi per gli azionisti. Tanto che, introducendo in tal modo i meccanismi del mercato nell’impresa, la finanziarizzazione ha finito per ridurre le finalità economiche, sociali, ambientali alla sola massimizzazione del profitto a breve termine.


Si pronostica che anche quest’anno in Svizzera ci sarà una pioggia di dividendi sugli azionisti; si stima infatti che sarà superata la già ragguardevole cifra da primato dello scorso anno (37,4 miliardi di franchi solo per le venti principali imprese incluse nell’indice borsistico). È un po’ complicato da spiegare, ma forse non bisognerebbe dimenticare che mentre i dividendi ordinari sono sottoposti all’imposta sul reddito, le somme distribuite invece a partire dalle riserve derivanti da apporti di capitale delle società ne sono esenti. Da quando quest’altro trucchetto è possibile, molte imprese elvetiche hanno distribuito buona parte dei loro dividendi in questo modo. Non ne hanno mai abbastanza, questo non è un sofisma.

Pubblicato il 

28.09.17
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