Amianto

L'annosa battaglia per la messa al bando totale dell'amianto a livello mondiale ha segnato dei passi in avanti negli ultimi anni, ma molto, anzi moltissimo, resta ancora da fare: sia nei paesi che ancora lo esportano o lo importano e lo lavorano sia in quelli che lo hanno già vietato da  anni ma che continuano ad essere confrontati con una massiccia presenza del minerale killer e con le legittime pretese di giustizia da parte delle vittime. Questo, in estrema sintesi, lo spaccato della situazione emerso dalla Conferenza internazionale sull'amianto tenutasi a Vienna il 6 e 7 maggio scorsi su iniziativa della Federazione mondiale dei lavoratori dell'edilizia e del legno e che ha visto la partecipazione di rappresentanti sindacali, istituzionali e della società civile di 41 paesi dei cinque continenti.

Le note più dolenti riguardano la Russia, che si conferma il primo esportatore di amianto al mondo e addirittura fa registrare una crescita del commercio, e l'India, il principale importatore. La situazione rimane allarmante anche in Brasile e nella maggior parte dei paesi dell'Asia e dell'Africa, anche se qua e là alcuni progressi, sia sul piano legislativo sia su quello economico sia su quello culturale, sono stati compiuti.
Uno degli eventi più significativi degli ultimi anni è sicuramente la cessazione (per la prima volta dopo 130 anni) dell'attività estrattiva in Canada, una nazione che, alla faccia della sua lunga tradizione democratica, liberale e civile e nel nome della più brutale logica del profitto, è stata  fino all'altro ieri tra i principali fornitori di amianto ai paesi in via di sviluppo.


All'origine della chiusura nel 2011 delle due miniere di amianto che erano ancora in attività (nella tristemente celebre Asbestos e nella vicina Tetford Mines, Québec) non vi è però una decisione di messa al bando della produzione di amianto, bensì vi sono tutta una serie di problemi economici e di sviluppo che fortunatamente non hanno sin qui trovato soluzione: l'anno successivo il governo provinciale del Québec a guida "liberale” stanziò infatti un credito di 58 milioni di dollari per garantire il rinnovamento e  l'operatività per altri vent'anni dell'amiantifera di Asbestos, ma l'esecutivo di centro-sinistra uscito vincitore dalle elezioni del 2012 ne bloccò l'erogazione. La fine dell’era dell’amianto, anche alla luce del fatto che nel frattempo i “liberali” sono tornati al potere, non è dunque ancora scritta.


Nel continente asiatico la situazione permane complessivamente drammatica, ma anche qui qualche passo nella giusta direzione è stato compiuto. Nel 2012 il Giappone ha deciso la messa al bando completa e lo stesso hanno fatto la Corea del Sud e Hong Kong (due mesi fa). In paesi come il Vietnam e la Thailandia l'amianto lo si continua a utilizzare, ma pure qui il processo di conversione è in atto: i prodotti sostitutivi sono sempre più diffusi e si assiste a un cambiamento di mentalità nell'opinione pubblica: in particolare, hanno riferito i delegati di questi stati, crescono le imprese che, attente alle nuove sensibilità di progettisti e cittadini, si propongono sul mercato evidenziando come qualità il fatto che realizzino solo opere senza amianto. «Una situazione da sfruttare, soprattutto nei confronti delle grandi aziende, notoriamente molto attente alla cura della loro immagine», ha auspicato Igor Fedotov dell'Organizzazione internazionale del lavoro.


Timidi segnali di conversione giungono persino dall'India (il più grande importatore di amianto al mondo) e dalla Cina, che, con 700.000 tonnellate di fibra cruda all'anno si conferma il maggior consumatore di amianto del pianeta, oltre che massiccio produttore (più di una trentina le miniere attive e più di 1 milione i lavoratori  quotidianamente a contatto con la fibra killer!). Il governo di Pechino nel 2012 (per la prima volta) ha però finalmente classificato l'amianto come “prodotto tossico e dannoso” in un documento ufficiale relativo ai materiali sostitutivi raccomandati. Materiali che oggi già vengono sistematicamente utilizzati nell'ambito delle grandi opere d'importanza internazionale, come è stato per esempio il caso delle infrastrutture per le Olimpiadi del 2008.


Purtroppo questi piccoli progressi non cancellano la prospettiva di un tragico futuro per migliaia di persone (che tra 20, 30 o 40 anni si ammaleranno e moriranno di malattie asbesto-correlate) né la vergogna che ancora oggi la maggioranza della popolazione mondiale, dell'Asia, dell’Europa orientale, dell’America Latina e dell’Africa, vive ancora in paesi dove si continua ad usare amianto con scarse misure di protezione. Di qui la necessità e l'urgenza di una messa al bando globale di questo prodotto, che è il più cancerogeno in assoluto tra quelli presenti sui luoghi di lavoro.


La messa al bando è già cosa fatta da oltre una ventina d'anni nei paesi dell'Europa occidentale, ma anche qui il problema è tutt'altro che risolto perché si continuano a fare i conti con la presenza di milioni di tonnellate di amianto nascosti nelle case, nelle scuole (problema particolarmente acuto in Inghilterra), nelle navi, nei battelli, nei treni, nelle canalizzazioni eccetera. Una presenza problematica soprattutto per i lavoratori dell'edilizia (circa 15 milioni nei 28 paesi dell'Unione europea) impiegati in opere di demolizione e di ristrutturazione. Oggi la priorità è dunque quella di ridurre al minimo il loro rischio di esposizione alle polveri, concentrando gli sforzi di prevenzione soprattutto sui giovani lavoratori, che non avendo mai lavorato con prodotti in amianto sono spesso poco consapevoli del pericolo a differenza dei loro colleghi più anziani.


E su questo fronte c'è molto da recuperare, perché negli anni successivi all'entrata in vigore del divieto, gli attori che per questo si erano battuti si sono per anni ritirati dal terreno della battaglia, ha ricordato Rolf Gehring della Federazione europea dei lavoratori dell'edilizia e del legno, riconoscendo la «corresponsabilità del sindacato» e auspicando per il futuro «maggiore collaborazione» tra le organizzazioni dei lavoratori, particolarmente necessaria in questa fase storica in cui la «dimensione sociale dell'Europa è fortemente sotto pressione».
Anche in Svizzera, dopo la messa al bando dell'amianto nel 1990, ci si è «risvegliati» solo una decina di anni dopo con la costituzione del Forum Amianto Svizzera (Fach), una piattaforma informativa che riunisce autorità, enti assicurativi e partner sociali che regolarmente organizza campagne di sensibilizzazione mirate. Lo ha ricordato nel suo intervento il responsabile nazionale per la sicurezza e la salute sul lavoro del sindacato Unia Dario Mordasini, esprimendo un giudizio positivo sul lavoro di prevenzione messo successivamente in atto nei confronti dei lavoratori che oggi rischiano un’esposizione all’amianto (in particolare edili e artigiani), «una buona base per un intervento ancora più capillare». In Svizzera, ha aggiunto, rimane «molto da fare» soprattutto nel campo dell’aiuto alle vittime a cui non viene riconosciuta la malattia professionale e a quelle che hanno subito l’esposizione alle polveri al di fuori dell’ambito lavorativo, attualmente escluse dalle prestazioni assicurative e confrontate con norme sulla prescrizione inadeguate e che di fatto non consentono di far valere alcuna pretesa risarcitoria. Una distorsione da correggere, anche alla luce della recente sentenza della Corte di Strasburgo  che ha condannato la giurisprudenza elvetica in materia di prescrizione.


In Svizzera si è fatto «troppo poco» anche nel perseguimento di un divieto mondiale dell’amianto, ha aggiunto Mordasini portando all'attenzione della sala la necessità, relativamente nuova, di tutelare quei dipendenti di imprese svizzere impiegati temporaneamente in paesi dove l'uso dell'amianto è ancora consentito (area ne parla nella rubrica “Sicurezza sul lavoro” a pagina 14) e auspicando per il futuro «una più stretta cooperazione internazionale tra le organizzazioni sindacali».


Il sindacalista di Unia ha infine annotato come la tragedia dell'amianto non abbia purtroppo contribuito a sviluppare una maggiore sensibilità in rapporto ad altri rischi connessi all'attività lavorativa (polveri di quarzo e di legno, nanotecnologie eccetera). «Bisogna dunque sforzarsi di illustrare in modo più sistematico i parallelismi esistenti», ha auspicato Mordasini. «Del problema amianto facciamone un'opportunità!», ha concluso.

Pubblicato il 

05.06.14

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