Oggi viviamo in modo ultra accelerato. Tutto deve essere eseguito ed esperito molto velocemente, ogni indugio, ogni rallentamento, ogni attività costante sono sentiti come una insensata perdita di tempo. Velocizziamo tutte le esperienze, perché ormai la vita intera è pensata nel modo del capitale. Taylorismo e toyotismo pensavamo fossero modi organizzativi della produzione, ma di fatto si sono rilevate forme di vita integrali ed esclusive, aggressive a livello globale, ben al di là dei confini della vecchia e scomparsa città-fabbrica, dal fast-food universale allo smartphone che portiamo sempre con noi.


Ma perché tutta questa fretta? Velocizzare significa capitalizzare, nel senso abietto e manipolatorio per cui correndo da un prodotto all’altro consumiamo semplicemente di più, e dunque vivendo velocemente e senza staccare mai, creiamo semplicemente e continuamente, certo anche inconsapevolmente, più profitti. La distruzione della durata, come già aveva capito Schumpeter, è la chiave del dinamismo del capitale.
La tradizione religiosa cercava la salvezza promettendo un superamento escatologico del tempo, e nutrendo l’immaginazione con il modello della vita eterna; almeno le contraddizioni e le sofferenze quotidiane reali potevano essere denunciate e combattute all’insegna di un principio speranza, all’insegna di un’altra realtà e di una abolizione del tempo, la cui utopia paradisiaca poteva anche alimentare una prassi critica contro la miseria della storia. Certo, anche su questo versante la speranza restava comunque connessa e soggiogata all’affermazione di gerarchie e autorità oppressive, e l’energia simbolica veniva miseramente sublimata.


Nella nostra tarda modernità, invece, la ricerca di salvezza è paradossalmente ricercata nella stessa velocizzazione del tempo, ovvero nella sfrenata rincorsa dei consumi, che ci dispiega sotto gli occhi un interminabile catalogo di possibilità seduttive e evanescenti, e al contempo impedisce la maturazione di ogni immaginazione critica, e con la sua sfrenata successione volatilizza e annienta ogni simbolica alternativa. Alla velocizzazione della produzione, a partire dal just in time toyotista fino all’attuale modello 4.0, ci pensano manager, minacce e macchine, grazie all’automazione e all’informatizzazione sempre più capaci di prescindere autoritariamente dai limiti “produttivi” dell’umano. Ma alla non meno decisiva velocizzazione dei consumi e alla liquidazione di ogni elaborazione alternativa sostanziale ci pensa l’odierno sistema della cultura e della comunicazione, tutto all’insegna di accelerazione, riduzione dei tempi, quantificazione e intrattenimento regressivo.


L’imperativo contemporaneo – ha scritto Alain Badiou – si riduce a questo: “Sii l’ animale umano che sei, pieno di desideri piccoli, e senza nessuna Idea”, ovvero “Vivi senza Idea”. Per questo da quarant’anni si parla di “morte delle ideologie”. Raccogliendo la sua proposta, di fronte a questo paesaggio desolato, segnato da un lato dalle gelide acque asimboliche del consumismo globale, dall’altro dal ritorno reattivo di simboliche autoritarie, resta quale compito, per sfuggire al pessimismo, la creazione di nuove simboliche egualitarie, senza le quali nessuna alternativa politica reale potrà ritrovare slancio.

Pubblicato il 

10.05.17
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