La mano invisibile

Un importante uomo politico (di destra) voleva mostrarsi aperto e comprensivo vendendo una sua soluzione sociale: quanto una società (impresa) guadagna sia distribuito in tre parti, un terzo per l’investimento, un terzo per i dividendi, un terzo per i salari (da supporre non come massa salariale ma come supplemento partecipativo). La proposta è simmetrica ed egualitaria: a ognuno il suo terzo. Seducente ma con trucco. Gli azionisti prenderebbero comunque il doppio: in reddito (i dividendi) e in sostanza (l’investimento autofinanziato arricchisce il proprietario, quindi gli azionisti, il corso dell’azione, i guadagni in capitale). In Svizzera si fa di meglio, con facciatosta. La quale, come ha dimostrato l’ultima votazione  sulla riforma fiscale, può però trovare dei limiti (nonostante gli ambienti economici abbiano investito diciannove volte di più in propaganda rispetto agli oppositori).


Le 20 maggiori imprese svizzere che rientrano nell’indice della Borsa di Zurigo (grandi banche e assicurazioni, grandi industrie farmaceutiche, alimentari, meccaniche) hanno distribuito nello scorso anno 37,4 miliardi di franchi in dividendi. Il settimanale finanziario Finanz und Wirtschaft prevede che nel corrente anno c’è quanto basta per superare quella cifra da primato. «Le imprese svizzere sono generose in dividendi», commenta.
Una constatazione: quella somma di dividendi ci rivela un aumento del 50 per cento in sette anni, nonostante gli strascichi della crisi finanziaria-economica e il franco forte. Un confronto: la rimunerazione del lavoro nello stesso periodo è aumentata di uno scarso 5 per cento. Sappiamo anche che un posto di lavoro su dieci nel settore privato è un posto a basso salario ed è lì inchiodato da dieci anni. Confronto ovviamente tacciato come improprio, superficiale e demagogico. Sarà, ma questo aiuta a capire come la ricchezza creata va sproporzionatamente a rimunerare l’altro fattore, il capitale. Il quale – quasi a conferma – si rallegra in questi giorni in Borsa con l’aumento dei corsi azionari quando banche e industrie importanti, in nome della competitività, del risparmio e del profitto, annunciano grossi licenziamenti e così meno lavoro da retribuire.


È quindi chiaro che con i dividendi distribuiti a suon di miliardi non si può dimenticare l’aspetto fiscale, ridistributivo. I dividendi ordinari sono sottoposti all’imposta sul reddito, è vero, benché con qualche accorgimento riduttivo. Capita però che le somme distribuite ricorrendo alle riserve derivanti dagli apporti di capitale delle società ne sono esenti. Da quando esiste questa possibilità molte imprese hanno distribuito negli ultimi anni tutti o una buona parte dei dividendi ricorrendo a quelle riserve. Nel 2015 le imprese svizzere quotate in Borsa avrebbero distribuito 14 miliardi di dividendi in tal modo. Per farla breve: un bell’affare per pochi (ci sono importanti managers che hanno ricevuto da 100 a 130 milioni in dividendi esenti da imposta), ma una minore entrata fiscale per i Comuni, i Cantoni e la Confederazione e di conseguenza indebitamento pubblico, compressione delle spese sociali e dell’effetto ridistributivo.


Nel secolo scorso si era perlomeno capito che minor diseguaglianza di reddito, un minimo di giustizia, una più equa ridistribuzione della ricchezza contribuivano a creare la prosperità e la coesione del paese. Oggi si parla solo di competitività, concorrenza fiscale, sgravi fiscali per evitare delocalizzazioni e attrarre grossi contribuenti, tagli ai bilanci pubblici, intervento sociale considerato un costo da ridurre o eliminare, costi del lavoro sempre eccessivi. Crescono così diseguaglianze, ingiustizie, ribellioni, populismi.

Pubblicato il 

22.02.17
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