Vari giornali hanno voluto rimettere in circolazione l'espressione "guerra fredda" per cercare di dare a chi li legge una chiave di interpretazione degli avvenimenti bellici delle ultime settimane in Georgia. Questa proposta nasconde a mio avviso l'incapacità a capire avvenimenti davvero nuovi che richiedono nuove chiavi interpretative.
Alcuni elementi di quello che sta capitando sotto i nostri occhi sono evidentemente già noti, anzi costanti nella storia umana: grandi potenze non vogliono solo difendere il proprio territorio bensì anche le loro cosiddette "zone di influenza". L'attuale Federazione russa, erede non solo dell'Unione sovietica bensì anche della Russia zarista, non intende perdere il proprio influsso sulle zone che da secoli erano sotto il suo controllo diretto od indiretto.
In tutta la regione caucasica e persino nelle repubbliche dell'Asia centrale negli anni che hanno seguito la caduta del muro di Berlino si è fatta senza più intensa l'iniziativa degli Stati Uniti e dell'Europa per potersi assicurare un approvvigionamento sicuro in gas e petrolio, indispensabili alle società tardo industriali di questi stati. La nostra opinione pubblica ha seguito tale penetrazione tranquilla senza troppi patemi d'animo pensando che i dollari e l'euro facciano comunque sempre piacere in queste regioni ancora molto arretrate. Gli ultimi vent'anni che ci separano dalla fine della "guerra fredda" non hanno comunque cambiato in profondità queste medesime società così lontane dai grandi centri industriali. Esse hanno construito grandi pipelines per rifornirci ma al loro interno sono rimaste in qualche caso ancora legate a forme di potere arcaiche: un po' di vecchio stalinismo appaiato a forme feudali.
A Mosca non c'è grande interesse a che questi ex-stati-satelliti si modernizzino o meno. Prioritario è il fatto che non cadano sotto l'influenza dell'altra grande potenza mondiale. A dire il vero il pentagono non ragiona in maniera molto diversa. Sia la Russia che gli Stati Uniti fanno fatica a dimissionare dalla loro autocomprensione come potenza mondiale e come nazioni-gendarme nelle loro sfere di influenza. L'Europa fatica a passare oltre a questa logica bipolare e, attraverso la Nato, rimane in gran parte succube della logica della "guerra fredda".
Nel nostro piccolo paese si ragiona nei medesimi termini, anche se su scala molto ridotta. Non per nulla la nostra Calmy-Rey è fatta oggetto di critiche continue quando cerca, attraverso gesti concreti, di far cambiare anche alla Svizzera il modo di guardare ai conflitti dei nostri giorni. Anche noi che leggiamo regolarmente area dovremmo darci una piccola mossa.

Pubblicato il 

05.09.08

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