L'intervista

Stupore. Anzi, qualcosa di più. Non nasconde di essersi sentito «esterrefatto» alla notizia che la città di Lugano intende appaltare la socialità a un ente esterno, seppur di diritto pubblico. Per la segretezza con cui è stata condotta l’operazione, la banalizzazione del tema, il mancato dibattito politico. Dibattito che l’economista Christian Marazzi auspica che, a rivelazione avvenuta per mezzo stampa, possa ora essere avviato. Perché «la socialità riguarda la società nel suo insieme e non solo un comparto ristretto».

 

Professor Marazzi, come ha accolto la notizia del progetto di trasformare gli Istituti sociali comunali in un ente autonomo di diritto pubblico?
Non nascondo di essere rimasto esterrefatto. Ciò che mi ha stupito maggiormente è il fatto che fosse il giornale area a dare l’informazione: se non aveste svelato voi il progetto, si sarebbe arrivati a messaggio licenziato senza sapere nulla. Mi ha sorpreso che una misura di tale importanza fosse trattata come un atto di normale amministrazione. Il secondo aspetto che mi ha colpito è stata la reazione dei capo gruppi dei politici presenti nel Legislativo di Lugano. Sono stati i rappresentanti dei partiti borghesi a dimostrarsi più preoccupati e sensibili rispetto a questa decisione presa dal Municipio che può rappresentare un precedente pericoloso fra Stato, autorità pubblica e tutto l’ambito sociale.


È vero: il socialista Martino Rossi e il sindacalista Ppd Lorenzo Jelmini, che per area di riferimento avrebbero dovuto essere fra quelli più prudenti, si sono invece dimostrati i più ottimisti rispetto all’esternalizzazione della socialità, parlando di garanzie date dallo statuto di diritto pubblico...
Che esistano tali garanzie è ancora tutto da dimostrare. Occorre andare cauti, io non ostenterei troppa tranquillità. I precedenti – Banca dello Stato o Aet come avete già sottolineato dalle colonne del vostro giornale – dimostrano che il controllo dello Stato in altri enti con questo statuto è stato tardivo, a danni compiuti. Per questo motivo è un’operazione che va discussa e ponderata. Non capisco i motivi di tanta segretezza su una manovra di tale portata e ritengo sia un brutto segnale che la discussione venga sollevata unicamente perché la stampa ha reso pubblico il progetto. Non è una manovra di semplice amministrazione, ma potrà avere effetti di grande portata, asfaltando una strada piena di incognite per quanto riguarda i diritti sociali.


La svolta di tipo aziendale della governance pubblica è la dimostrazione che lo Stato sociale non esiste più?
Lo Stato sociale presenta dei limiti che si sono evidenziati in questi anni ed è in crisi con richieste di razionalizzazione, le quali hanno ristretto i margini di manovra. Resta comunque un traguardo, una garanzia della natura sociale dei diritti: una sua scomposizione mette a repentaglio i diritti di cittadinanza che rischiano di essere trattati con criteri gestionali e amministrativi. Esistono dei pericoli di azzardo, di torsione dei criteri di accesso alle prestazioni sociali secondo un criterio economico. In alcuni cantoni si sono già registrati dei casi di fuoriuscita dalla Cosas, la Conferenza svizzera delle istituzioni dell’azione sociale, con la fissazione indipendente dei minimi di accesso alle prestazioni. È questo è un aspetto molto insidioso che andrebbe evitato e combattuto. Proprio perché ci troviamo di fronte a un problema di crisi dello Stato sociale, bisogna affrontare questi passaggi con prudenza.


Quali sono i pericoli dell’esternalizzazione della socialità?
Una volta che si compie questo passo, ogni scenario è aperto: l’aziendalizzazione, la privatizzazione. La trasformazione degli Istituti sociali in un ente, sempre che la trasformazione sia davvero necessaria e utile, deve essere accompagnata da rigorose misure di controllo. La posta in gioco è alta e non posso comprendere le ragioni di tanto riserbo: è un argomento che va dibattuto alla luce del sole. Ricordiamoci che la socialità riguarda la società nel suo insieme e non solo un comparto ristretto.


Rischiamo dunque di trovarci tutti più poveri, con i diritti sociali indeboliti?
Lo ha detto lei e io non posso che condividere. La creazione di un ente su cui potrebbe mancare il necessario controllo statale è una minaccia non solo per il personale del settore, che potrebbe essere esposto a tagli e ridimensionamenti, ma per l’intera collettività. A maggior ragione in questo periodo storico in cui la crisi sta colpendo e falciando il ceto medio. La questione sociale non è più un problema circoscrivibile a un segmento fragile e marginale della popolazione. È un fenomeno ormai trasversale. Pensiamo alla precarietà del lavoro che tocca la popolazione nel suo insieme. Ogni famiglia ha l’esempio in casa di qualcuno che non riesce a trovare un posto fisso. Mi auguro che il dibattito venga portato avanti ora dai politici, eletti dal popolo come suoi rappresentanti, e non unicamente dalla stampa.

Pubblicato il 

20.05.15