Italia

Questa volta non si può dire che l’Italia non abbia dato una prova di efficienza istituzionale nel risolvere la crisi seguita alla dura sconfitta del governo nel referendum sulla controriforma della Costituzione: è bastata una settimana per archiviare l’esperienza di Matteo Renzi e varare un nuovo governo. Ma è proprio così? La realtà racconta un altro romanzo in cui l’io narrante è sempre lui, il rottamatore fiorentino che pur avendo lasciato la guida dell’esecutivo non ha fatto alcun passo indietro, anzi ha imposto la sua soluzione alla crisi, i suoi uomini e le sue donne e ora tenta di imporre anche i suoi tempi, cioè le elezioni anticipate. Le quali gli consentirebbero di affrontarle da segretario-padrone del Pd evitando anche il congresso e al tempo stesso di non doversi far ancora giudicare dai cittadini sui referendum sociali della Cgil, facendoli slittare di un anno. Altro che tornare a casa. La realtà mostra che quello guidato dall’ex capanniano Paolo Gentiloni – il conte discendente dei “nobili di Filottrano, Cingoli e Macerata” – non è che una sbiadita fotocopia del governo Renzi, con i tre quarti dei ministri rimasti al loro posto, qualche movimento interno – il centrista Alfano, capace di parlare perfettamente siciliano e italiano, al ministero degli esteri – e poche sostituzioni. Neanche la supersconfitta Maria Elena Boschi torna a casa, anzi viene promossa a sottosegretaria alla presidenza, in pratica vice-premier, e il super-renziano Lotti diventa ministro.


E i cambiamenti? La ministra della pubblica istruzione Giannini, prima firmataria della riforma più impopolare tra studenti e insegnanti, è stata bocciata e al suo posto è arrivata Valeria Fedeli, ex segretaria generale Cgil dei tessili, prima italiani e quindi europei. Una “realista”, che tradotto dal sindacalese e dal politichese si traduce con “moderata”, alias di destra. Ha subito fatto scandalo perché nel suo profilo si dichiarava laureata, cosa falsa essendo semplicemente titolare di un diploma triennale da assistente sociale. Ha reagito parlando di un piccolo errore, aggiungendo però che la laurea non serve per fare il ministro dell’istruzione e dell’università. Del resto, sono in tanti a dire che la laurea non serve, come direbbe Montalbano, a una minchia (quasi come il Parlamento). Chi invece è rimasto al suo posto di ministro del lavoro è Giuliano Poletti che ha subito fatto due dichiarazioni fulminanti: 1) bisogna votare subito per salvare il mitico jobs act dai referendum della Cgil; 2) ci sono centomila cervelli in fuga dall’Italia? Conosco gente che è meglio sia andata via, questo Paese non soffrirà a non averla tra i piedi. Un modo non proprio diplomatico per rispondere ai milioni di giovani che all’80% hanno votato No al jobs act, pronti a sostenere i tre referendum della Cgil per ripristinare l’articolo 18, abolire i voucher e far ordine negli appalti.


Neanche lo scenario economico e sociale cambia, con il passaggio sub judice di testimone tra Renzi e Gentiloni (si riassume con governo Renziloni). L’Inps ha diffuso i dati dei primi 10 mesi del 2016 che smentiscono l’ottimismo fasullo di chi vuol nascondere i disastri provocati dal jobs act. I voucher venduti in tabaccheria che trasformano i lavoratori titolari di diritti in prestatori d’opera a ore sono aumentati del 36% sull’anno precedente, fino a 121,5 milioni. Il famoso boom di assunzioni che la nuova legge del lavoro e gli incentivi fiscali ai padroni avrebbero dovuto garantire si riduce a 61.000 lavoratori stabili in più. In compenso, i licenziamenti per presunti motivi disciplinari sono stati 60.000, grazie all’abolizione dell’articolo 18 che garantiva il reintegro di chi era stato ingiustamente espulso.


E che dire del morbo che affligge la politica italiana, la corruzione? La risposta sta nella crisi sempre più grave che affligge la capitale, dopo l’arresto dell’uomo di fiducia della sindaca Virginia Raggi, eletta con un vero plebiscito per cambiare uomini e politiche dopo lo scandalo che aveva travolto il Pd. Marra, uomo di Alemanno, difeso fino all’ultimo oltre che dalla Raggi da una parte del M5S, mostra senza più dubbi i legami politici con la destra e il malaffare, banda della Magliana compresa. Il movimento del comico genovese è allo sbando, la sindaca commissariata dal duo Grillo-Casaleggio junior e costretta, alla buonora, a liberarsi dei suoi più stretti collaboratori e in attesa di una possibile comunicazione giudiziaria. E per giunta, l'organo di revisione economico-finanziaria del Campidoglio ha bocciato il bilancio preventivo del 2017 e in consiglio comunale si sono scatenate le opposizioni. La Raggi vacilla e non si escludono le dimissioni.


Chi aveva scelto il M5S come scopa per spazzar via la mala politica rischia di andare a ingrossare le file dell’astensionismo, se non della destra. Ma anche la capitale economica, Milano, è rimasta per qualche giorno senza guida per l’autosospensione del sindaco Sala raggiunto da un avviso di garanzia per falso materiale e ideologico relativo al più importante appalto dell’Expo da lui diretto.


E nel Pd, Renzi continua a imporre i suoi diktat mentre la sinistra, pur premiata dall’esito referendario, continua a oscillare tra tentazioni di fuga e pratiche di continuismo. Eppure c’è un pezzo d’Italia ancora vivo, pronto a partecipare come al referendum costituzionale e a dire No, alla finta “buona scuola”, al jobs act, alle politiche liberiste e agli attentati autoritari alla democrazia. Un pezzo d’Italia senza rappresentanza politica.

Pubblicato il 

21.12.16
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