Francia

All’origine c’è il progetto di legge di riforma del Codice del lavoro, la “Loi travail” che porta il nome della ministra Myriam El Khomri, considerata la goccia che ha fatto traboccare il vaso. Ancora prima che il testo di legge venisse presentato in Consiglio dei ministri, gli studenti universitari e i liceali sono scesi in piazza. Come dieci anni fa contro il Cpe (contratto di primo impiego), i giovani hanno visto nella preparazione della riforma, che questa volta però non li riguarda esclusivamente, un’istituzionalizzazione del precariato, attraverso una maggiore facilità di licenziare concessa alle imprese piccole e grandi, con la (vaga) promessa di facilitare in questo modo le assunzioni.


Il governo, che pure aveva cercato di preparare il terreno per quella che doveva essere l’ultima “grande riforma” della presidenza Hollande chiedendo un Rapporto all’ex ministro Robert Badinter, ha poi ceduto alla precipitazione ed è caduto nella confusione. Il testo di legge è già stato modificato, gli angoli più acuti sono stati smussati, prima della discussione del 3 maggio all’Assemblea, dove ci sarà uno sbarramento di emendamenti.
Le numerose manifestazioni di giovani e meno giovani, con la forte partecipazione nei cortei dei sindacati (salvo la Cfdt, che ha trattato con il governo per modificare alcuni punti della riforma) continuano a chiedere “il ritiro” della legge El Khomri, ma ormai i contenuti della contestazione si sono allargati con la “Nuit Debout”, le riunioni quotidiane in Place de la République. È tutto il “sistema”, che in questi giorni sta dando il peggio di sé con i Panama Papers, a venire contestato.


La data della svolta è stata il 23 febbraio scorso. Alla conclusione di una serata alla Bourse de Commerce di Parigi, dove era stato presentato il film-documentario Merci patron! di François Ruffin (che racconta l’assedio a Bernard Arnault, presidente del gruppo di lusso Lvmh, da parte di due operai licenziati a causa della delocalizzazione della loro fabbrica), qualcuno ha detto: “io non torno a casa”. Dopo la manifestazione del 31 marzo c’è stato il trasferimento in place de la République, luogo simbolico per eccellenza dopo gli attentati di gennaio e novembre 2015.


Dal 31 marzo si è iniziato il nuovo calendario dei contestatori, venerdì 22 aprile è il 53 marzo. Ogni sera, decine di persone si riuniscono, fino a notte fonda, per discutere e delineare i termini di una possibile alternativa. I “modelli” evocati, in realtà più dalla stampa che dai partecipanti, sono il 15-M spagnolo, da cui è nato in seguito Podemos, o i vari Occupy statunitensi.


Parigi, colpita dagli attentati, mostra di non avere paura. Poco per volta, il movimento si è organizzato e ormai si è esteso alla provincia, con più di sessanta città e cittadine coinvolte, anche se mostra difficoltà a radicarsi nelle banlieues popolari. Alcune organizzazioni militanti (Attac, Dal, che difende il diritto alla casa, Sud-Solidaires) si sono occupate di presentare domanda al comune di Parigi per ottenere i permessi per occupare la piazza. I partiti dell’estrema sinistra sono presenti, ma quasi in incognito.


L’organizzazione avviene in diverse “commissioni” (mensa, musica, coordinamento, azione, logistica, femminismo, Palestina ecc.). Poi le conclusioni sono presentate ogni giorno all’assemblea generale, che vota. Su una lavagna sono segnate le “iniziative collettive” per la “convergenza delle lotte”, vengono riempiti cahiers de doléances. C’è Radio Debout, che trasmette, sull’app Periscope passano i filmati dei momenti più intensi. È stato anche piantato un “orto in piedi”, rompendo un pezzo di pavimentazione, cosa che ha irritato l’amministrazione parigina.


«Il movimento si amplifica» constata un militante del Dal, «prenderà una svolta politica? Non ci sono leader, ma dei militanti che emergono». Contro la deriva a destra del governo, contro una democrazia “negata”, per “un altro sistema”, Nuit Debout cerca delle proposte alternative. Qualche oratore, presente fin dall’inizio, è più incisivo di altri, come l’economista atterré Frédéric Lordon. Per Lordon, che rifiuta un’evoluzione alla spagnola (cioè verso la formazione di un partito) e teme l’insabbiamento di Occupy, la forza di Nuit Debout dovrebbe essere di porsi come una “costituente” di un nuovo mondo, per mettere in questione «il potere del capitale sugli individui e sull’intera società». Ma per il momento gli obiettivi restano ancora fluidi. Le università sono più o meno mobilitate, anche se la partecipazione non è omogenea e non ci sono occupazioni stabili.


La piazza sfida il governo e il presidente “socialista” Hollande, “un traditore”. Al governo e nel Ps le reazioni sono soprattutto di irritazione. Alcuni politici si sono fatti vedere in Place de la République, a cominciare da Jean-Luc Mélenchon del Parti de Gauche, ma Nuit Debout sta attenta a non essere strumentalizzata. Nell’ultimo fine settimana, è passato anche l’ex ministro greco Yanis Varoufakis, ma la Nuit Debout gli ha concesso solo cinque minuti per esprimersi. Al mattino la polizia interviene per smantellare le installazioni della notte. La destra insorge contro la violenza, causata da gruppi che a notte fonda approfittano della mobilitazione per spaccare vetrine di banche o di prodotti di lusso, è stato montato il caso del filosofo reazionario Alain Finkielkraut, insultato sabato sera. Il governo è accusato di lasciar fare, senza reagire, mentre il paese continua ad essere in stato d’emergenza. La violenza rischia di diventare un problema. Un progetto di comunicato è in discussione: «Cedere alla violenza è controproducente e rende più fragile il movimento». Il comunicato vorrebbe mettere anche in evidenza «le provocazioni incessanti» della polizia, «una strategia deliberata». Il ministro degli Interni, Bernard Cazeneuve, per pararsi dalle accuse della destra, ormai minaccia la mano di ferro contro ogni violenza.

Pubblicato il 

20.04.16
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