Più flessibilità e meno vincoli per il mercato del lavoro: lo vogliono gli imprenditori e la commissione economica delle due camere che ha dato il suo benestare, un progetto di legge in tal senso è in preparazione. Le imprese si sono già mosse adottando forme organizzative che modulano il lavoro secondo la domanda. Il recente rapporto Ustat lo conferma: il lavoro “atipico” (a tempo determinato, su chiamata, interinale, e per i giovani il lavoro autonomo) sta dilagando. Forme nuove, ammesse dalla legislazione attuale che sovente non riescono a soddisfare il bisogno di chi vorrebbe lavorare in modo più continuato ed avere un reddito sufficiente o aumentarlo, e producono scompensi nel finanziamento del welfare e della previdenza.


Dietro le cifre rassicuranti sull’occupazione e dell’aumento dei salari reali si cela un enorme problema che ipoteca pesantemente il futuro e che viene sottaciuto: la precarietà di molte persone che oggi riescono a racimolare un reddito sufficiente per sopravvivere, ma insufficiente per assicurarsi una pensione di vecchiaia adeguata. Non solo in Svizzera. Anche la Germania, paese locomotiva d’Europa, campione di efficienza e performance, è un gigante dai piedi d’argilla: oltre il 15% della popolazione è povera, e milioni di persone che tra 10 -20 anni raggiungeranno l’età della pensione, ma saranno sguarniti a livello di previdenza. È il risultato della liberalizzazione del mercato del lavoro voluta dall’ex cancelliere Schröder che a fine anni ’90 promosse il famoso Patto sul lavoro tra sindacati e imprese: i primi, al fine di mantenere l’impiego nel paese, accettarono che i guadagni di produttività finissero alle imprese e non nell’aumento dei salari. La liberalizzazione è proseguita con forme di lavoro “sganciate” dai normali canoni normativi, tra queste l’introduzione dei minijobs (15 ore lavorative settimanali, salario 450 euro mensili, che danno diritto a una pensione di 3,11 euro mensili per ogni anno lavorato!)


In Svizzera non abbiamo i minijobs, ma forse non tutti sanno che il capitale di vecchiaia di coloro che sono in disoccupazione non aumenta, perché la legge esonera dal versare gli specifici contributi. Molti lavoratori nostri che alternano momenti di lavoro con altri di disoccupazione, o lavori saltuari a tempo determinato, su chiamata, non riescono rimpolpare il proprio capitale di pensione. Il loro futuro è più che mai tenebroso; pur riuscendo oggi a sbarcare il lunario, si ritroveranno al momento del pensionamento con un cumulo di rendite Avs e Cassa pensione al di sotto della soglia di povertà. D’altronde già percepiamo i segnali di tale fenomeno: l’impennata delle persone richiedenti l’assistenza, gli over 50 che faticano a ritrovare un’occupazione, l’aumento dei sottoccupati che vorrebbero lavorare di più per incrementare il loro reddito ma non trovano sbocco. Agli eloquenti indizi del crescente disagio economico si aggiunge quello psico-emotivo di persone che vivono male la loro condizione di incertezza (sia di non garanzia del lavoro, sia delle condizioni stesse di lavoro), affette da malattie psico-somatiche il cui costo nel 2016 è stato di 5,7 miliardi. L’immagine della Svizzera “isola felice” si offusca. Inutile far finta di nulla, due paesi “solidi” – la Germania, addirittura presa quale esempio da seguire – celano in grembo una bomba a orologeria. All’orizzonte si profila una nuova questione sociale che, senza cambiamento di rotta, parimenti a quella dell’800, genererà l’aggravamento delle condizioni di vita e quella psico-sociale di molti cittadini. Irresponsabile oltre che immorale voler proseguire su questa strada.

Pubblicato il 

24.05.17
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