Anna Biscossa ad un giornale che riunisse tutte le forze progressiste, dai partiti ai sindacati, dalle associazioni ai movimenti, ci ha creduto più di tutti. Anna Biscossa era presidente del Partito socialista (Ps) quando i sindacati Sei e Flmo e lo stesso Ps lanciarono area. Oggi, a dieci anni di distanza, ecco il suo bilancio di un'esperienza editoriale unica.

Anna Biscossa, è vero che a casa tiene la collezione completa di area, dal primo all'ultimo numero?
È vero. Ho sempre considerato area un po' la mia "creatura". È un progetto a cui ho contribuito, a cui credevo più politicamente che giornalisticamente: mi piaceva l'idea di aprire una collaborazione attiva con le forze sociali, in particolare con il sindacato, un'idea di collaborazione che si rifletteva anche nella scelta del nome. Era il coronamento di un progetto di apertura del partito. Sono sempre stata convinta che la sinistra è tanto più autorevole quanto più ampio è il fronte che rappresenta. D'altro canto c'era e c'è attorno al partito una serie di persone che ci tengono alla loro indipendenza, ma che sono preziosissime nell'elaborazione teorica e nella pratica politica quotidiana della sinistra: ritenevo importante che fossero coinvolte attraverso un organo di stampa. Credendo molto al progetto ho cominciato a tener lì tutti i numeri man mano che uscivano, e poi col tempo mi sarebbe dispiaciuto interrompere l'abitudine. Che continua tutt'oggi.
Ritiene che area abbia mantenuto la promessa, iscritta nel suo nome, di rivolgersi a tutta l'area della sinistra e di rappresentarla?
Nel complesso sì. A tratti però ci sono stati dei riposizionamenti, dipendenti ora dai bisogni del sindacato, ora da quelli del partito, che hanno fatto perdere questa prospettiva. Non è stata una scelta ma una necessità. La dimensione fra il nazionale e il locale che ha caratterizzato area è sempre stata un po' problematica. Spesso ad esempio certe aperture riportate sul piano federale non venivano recepite così bene sul piano locale. La funzione di forum per le diverse anime della sinistra e dei progressisti si è così in parte persa per coniugare gli interessi di fasce di lettori molto diverse. E le costrizioni finanziarie non hanno fatto altro alla fine che accentuare il problema. In definitiva sono state le necessità contingenti ad imporre altre priorità.
Unia e Ps interrompono il loro percorso comune in area dopo dieci anni. Lo considera un fallimento, o aver resistito dieci anni è comunque un successo?
Lo considero un fallimento. Certo il progetto di area è sempre stato tormentato, in passato più volte si era ipotizzato di interrompere questo percorso comune per i diversi bisogni di comunicazione e per le costrizioni finanziarie. Ma mi preoccupa il fatto che, in un momento storico come quello che stiamo vivendo, Unia pensi che sia meglio per i propri associati avere un giornale che si richiude sui temi sindacali. È un fallimento perché mi sembra che sempre più stia sparendo la cultura di sinistra, la cultura progressista, più in generale la cultura politica. È come se tutto fosse finalizzato alla quotidianità, alla risposta del bisogno immediato.
È la mancanza di cultura politica che determina l'impossibilità di una collaborazione più organica fra sinistra politica e sinistra sindacale, al di là di occasioni puntuali quali iniziative e referendum?
Più che di mancanza di cultura politica, parlerei di trascuratezza. In questo senso sì, la cultura politica è trascurata, è considerata una sorta di lusso che non ci si può permettere di fronte alle contingenze quotidiane. È un errore fondamentale. Nella prassi quotidiana creiamo spesso intersezioni fra i partiti della sinistra tra di loro e fra questi e i sindacati, ma poi non siamo capaci di trasformare queste intersezioni in occasioni di riflessione e di crescita.
Lei era presidente del Partito socialista quando area fu lanciata. Che cosa ricorda delle discussioni di allora, del progetto che si perseguiva?
Sul piano finanziario prevaleva nettamente la componente sindacale. Questo faceva temere a noi del Ps che il sindacato l'avrebbe fatta da padrone. In realtà devo dire che, pur con delle difficoltà, la trattativa e la discussione sono poi state condotte su un oggettivo piano di parità. Da entrambe le parti c'era la volontà di creare un progetto di cultura condivisa. Era l'epoca del "Libro bianco", l'ideologia liberista dominava e il mercato e la concorrenza sembravano la panacea a tutti i mali. Erano gli anni in cui il lavoro interinale cominciava a diventare qualcosa di organico, in cui si vedevano sempre più giovani barcamenarsi per anni senza posto fisso. La sinistra era pure lei obbligata ad entrare in quest'ordine di idee per accedere ai mezzi di comunicazione, altrimenti ne rimaneva di fatto esclusa. Nonostante la maggioranza dei media sostenesse le tesi neoliberiste, volevamo creare un luogo che ricordasse che gli impatti di queste dottrine erano e sono molto negativi.
Quali erano i vostri riferimenti in ambito editoriale?
Era un progetto comune fra sindacati e partito, che in qualche modo sbarazzava il campo dalle esperienze precedenti sia di partito che di sindacato. Non ci riferivamo quindi al Quotidiano di Toppi piuttosto che alla Nuova Libera Stampa o a La Sinistra. Se c'era un riferimento, per quanto lontano, era forse la vecchia Libera Stampa, che ai suoi tempi fu un prodotto comune dell'Unione sindacale svizzera (Uss) e del Ps. C'era come allora l'idea di costruire un baluardo di cultura politica da contrapporre alla cultura che sembrava dominante. I sindacati dal canto loro dieci anni or sono stavano tentando esperienze editoriali nuove anche nelle due altre lingue nazionali: forse era con quei progetti che a volte dovevamo fare i conti e forse anche scontrarci per far valere una modalità di lavoro e una cultura diverse.
Ripensando a tutti i rimaneggiamenti vissuti da area in questi dieci anni, e in particolare ai tormenti del primo anno, viene il dubbio: non è che all'inizio le idee fossero un po' confuse?
Da un lato c'era da coniugare i due livelli, quello nazionale e quello regionale. D'altra parte bisognava capire come far convivere una piattaforma di idee condivise con i bisogni comunicativi del sindacato e del partito. Non era chiaro per nessuno dove fossero i limiti. Chi concretamente ha poi avviato il progetto ha dovuto prendere le misure da una parte e dall'altra e avanzare per tentativi. Non era stato facile far partire area, per questo ritengo un peccato interrompere l'esperienza: perché adesso mi sembra che si sia giunti ad un buon equilibrio. In fondo dieci anni avevano permesso di stabilizzare il prodotto, conciliando l'esigenza sindacale di un'informazione semplice ed agevole con le attese di altro tipo provenienti dai lettori vicini al partito.
area però non è mai stata veramente amata dai militanti del Ps e da chi è vicino al partito: c'era sempre il rimpianto chi per Politica Nuova, chi per Libera Stampa.
È vero. Il fatto è che come Ps eravamo stati abituati troppo bene. Aver avuto per decenni un quotidiano come Libera Stampa tutto per sé ed un settimanale d'impatto importante come fu Politica Nuova, due giornali su cui si poteva fare e scrivere tutto quel che si voleva, ha reso più difficile la comprensione del progetto di area, che per scelta non poteva essere come i suoi predecessori. Questo ha portato inevitabilmente ad un'identificazione minore con area. Cosa che del resto avevamo già osservato con La Sinistra, il settimanale che aveva preceduto area e che volutamente si era aperto oltre gli steccati del partito.
La Sinistra ieri, area oggi, Confronti domani: i nomi sono già dei programmi. Da un lato si cerca di allargare sempre più il bacino di riferimento, dall'altro nel nome stesso vanno sempre più persi dei chiari riferimenti ideologici.
È qui che forse ci saranno i primi problemi per Confronti: fare cultura politica pluralista sul giornale quando questo potrebbe andare contro gli interessi del Ps potrebbe essere molto difficile.
Qual è un merito che riconosce ad area in questi dieci anni?
Il mio ideale era di mettere assieme diverse sensibilità in un giornale, per offrire con area uno spazio di confronto e di crescita progettuale e propositiva della sinistra. Speravo che dal confronto di tante idee diverse si potessero costruire delle proposte concrete di economia alternativa rispettosa di determinati principi sociali e ambientali. E credo che a tratti questo sia successo, penso ad esempio a come è stata tematizzata in questi dieci anni la questione del lavoro interinale, alla costruzione di una resistenza ideale al liberismo sfrenato o a come area ha saputo denunciare certe modalità di fare politica. Su tutti questi e molti altri dossier sono stata contenta che ci fosse area.
Che cosa si aspetta da area e da Confronti?
Che possano trovare un punto di convergenza e di complementarità su temi legati al lavoro, alla società, allo sviluppo economico, e che da queste collaborazioni possano nascere ancora dei progetti frutto di una cultura politica ampia e non finalizzati soltanto ai bisogni contingenti di un partito o di un sindacato. Credo che richiudersi in sé non farebbe bene né al partito né al sindacato.
E della sua collezione completa di area che ne sarà?
Non lo so, sono seppellita dalla carta con la quale sono in perenne conflitto per la ricerca di spazi. Non so se il cuore lo permetterà, ma non escludo che un giorno me ne debba liberare…

Pubblicato il 

19.12.08

Edizione cartacea

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