Apartheid

La pubblicazione delle statistiche sul commercio di oro conferma il ruolo preponderante della Svizzera nel commercio del metallo giallo con il Sudafrica dell’apartheid.
Tre righe. È la lunghezza del comunicato stampa con cui, venerdì 27 febbraio, l’Amministrazione federale delle dogane (Afd) ha annunciato la fine di uno dei più grandi segreti di Stato del nostro Paese. Dopo oltre trent’anni di opacità, sono state rese pubbliche le statistiche del commercio di oro tra la Confederazione e il resto del mondo tra il 1982 e il 2013. Una notizia passata in sordina, dispersa nel flusso della comunicazione burocratica. Eppure si tratta di un fatto importante, che permette di fare un po’ più di chiarezza attorno ad una delle pagine più deplorevoli della recente storia elvetica. Riemergono infatti i legami oscuri tra la Svizzera, le sue banche e il Sudafrica dell’apartheid, all’epoca principale produttore mondiale di oro.

 

Se già si sapeva che una buona parte della produzione aurifera sudafricana transitava dalla Confederazione, oggi abbiamo dei dati concreti sui quantitativi giunti in Svizzera durante gli ultimi dieci anni di apartheid.
Snoccioliamo subito qualche dato. Tra il 1982 e il 1991, anno in cui vengono abolite le leggi segregazioniste, gli acquirenti elvetici hanno comprato quasi 3 milioni di chilogrammi d’oro dal Sudafrica. In soldoni: 63,4 miliardi di franchi. Un’enormità.

 

All’apice di questo commercio, nel 1986, sono giunti in Svizzera 457.433 chilogrammi di metallo giallo sudafricano. Contropartita in denaro: 9 miliardi di franchi. In quel momento il regime di Pretoria era sotto embargo internazionale e la repressione contro la comunità nera (che era poi quella che, quell’oro, materialmente lo estraeva) era all’apice. Ma la Svizzera, si sa, è uno Stato neutrale, all’epoca nemmeno membro dell’Onu. Se l’embargo sulle armi decretato dalle Nazioni Unite nel 1977 non la riguardava, quello economico e finanziario, applicato da diversi Paesi a partire dal 1984, non la sfiorava nemmeno di striscio.
La Confederazione applica così la politica del doppio gioco: da un lato condanna moralmente il regime, dall’altro non applica nessuna sanzione economica.


Resta il fatto che i dati sull’oro sono imbarazzanti. Nel 1981, l’Afd decide così, su pressione degli ambienti bancari, di classificare queste informazioni come “confidenziali”. Un eufemismo che ha permesso di mantenere segreto il commercio svizzero di oro per oltre trent’anni. Fino a quando, qualche settimana fa, queste statistiche si sono manifestate sotto forma di una tabella Excel sul sito Internet dell’Afd.


Gli acquirenti


I principali acquirenti dell’oro dello Stato segregazionista sono i tre principali istituti bancari elvetici: Credito svizzero (Cs), Società di banche svizzere (Sbs) e Unione banche svizzere (Ubs). Nel 1968 le tre banche creano il pool dell’oro di Zurigo, un’organizzazione di acquisto che subito ottiene la fiducia dei produttori e delle autorità di Pretoria. Per due anni, nella città sulla Limmat si commercializza la totalità del metallo giallo sudafricano venduto sul mercato libero. Nel decennio successivo le banche del pool tratteranno circa l’80 per cento della produzione aurifera sudafricana. Fino alla fine dell’apartheid le banche del pool di Zurigo hanno avuto un ruolo preponderante nella commercializzazione del metallo giallo prodotto nelle miniere del Paese più a meridione d'Africa.


In Svizzera, non solo il commercio ma anche la lavorazione dell’oro è stata per molto tempo orchestrata dalle tre principali banche. Per poter essere venduto l’oro da investimento deve essere purificato al 99,99% da una delle raffinerie certificate dalla London Bullion Market Association (Lbma), l'associazione di categoria che rappresenta il mercato all’ingrosso dei metalli preziosi. All’epoca dell’apartheid, le grandi banche controllano, una ciascuno, tre delle raffinerie più grandi del mondo: la Metalor di Neuchâtel, una filiale della Sbs, la Argor-Heraeus di Mendrisio, controllata al 75 per cento da Ubs, e la Valcambi di Balerna, di proprietà del Credito svizzero.


Gli storici sanno che una parte importante dell’oro proveniente dal Sudafrica era raffinata in Svizzera. Certo, non si sa quali proporzioni di questo oro erano raffinate e in quale raffineria, ma possiamo tranquillamente ipotizzare che una parte di esso veniva lavorata in Ticino, negli stabilimenti di proprietà delle banche.


Abbiamo contattato Argor-Heraeus e Valcambi per dei chiarimenti, che però non sono arrivati: la prima si limita a dire che gli archivi di quel periodo «non esistono più», mentre Valcambi non ha nemmeno risposto.
Mentre in Sudafrica regnavano razzismo e tortura di Stato, la Svizzera e le sue banche commerciavano il suo oro senza vergogna. Un commercio che non sarebbe stato possibile senza il sostegno e la protezione delle autorità federali. Con la caduta del regime di Pretoria le importazioni di oro dal Sudafrica diminuirono in maniera brusca. Quasi a dimostrare che in un contesto di terrore e segregazione è più facile fare affari.

Pubblicato il 

18.03.15
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