Rispondendo ad uno scritto di Tita Carloni sulle dinamiche che caratterizzano la discussione sui candidati Ps al Consiglio di Stato, Pietro Martinelli annota come le sue proposte diano «una indicazione difensiva, decisamente circoscritta, che arrischia di apparire semplicistica». Martinelli chiede di non limitarsi ad una politica difensiva, di occuparsi anche della «questione di come favorire lo sviluppo della nostra economia» e di rispondere alle «domande vitali per il futuro del Cantone». Constata che in questo «la politica, e il partito, appaiono sempre più assenti" e conclude che "trincerarsi solo dietro una politica difensiva ci porterebbe fatalmente a diventare subalterni all'interno di progetti disegnati e decisi da altri».
Ha, secondo me, in gran parte ragione. Mi pare però importante non perdere il filo del discorso di Carloni, legato alle elezioni. Egli in sostanza caldeggia candidature di persone che portano sulle loro spalle idee di lotta e resistenza e invita – "dettaglio" non da poco – a non pensare solo al CdS ma anche al Gran Consiglio. Ricordo a mia volta che il Psa ha contribuito a cambiare il paese operando fuori e dentro il parlamento, prima che nel CdS.
Come Martinelli, temo anch'io, che «in mancanza non solo di un progetto, ma anche di un dibattito serio nella società sulle sfide in atto e sul modo migliore per affrontarle, saranno probabilmente pochi individui che decideranno il nostro futuro».
Ma questo non ci esime, nella contingenza attuale, di decidere subito con quali mezzi e persone contrastare il palese degrado della politica intesa come buona amministrazione della cosa pubblica e corretta gestione dei problemi. Per esempio gli appalti pilotati, i favoritismi nei mandati pubblici, tutti gli scandali, scandaletti e miserie che ci siamo abituati a scoprire settimanalmente. Cose "spicciole".
E in più la carenza di mezzi dell'apparato giudiziario (cui prodest!), l'inerzia di settori importanti dell'amministrazione (ancora, cui prodest!), la politica verso i giovani in difficoltà, di cui il "nostro" stesso Dss porta parte della responsabilità per una politica insufficiente; e via discorrendo.
Andiamo perdendo il controllo e persino la consapevolezza di quanto succede sul nostro territorio, di quanto succede (o non succede) nell'amministrazione pubblica, di molti fenomeni in atto nella società civile, che contano, che incidono sulla vita di tutti i giorni, che la mutano, che plasmano le mentalità. C'è un degrado e, mi pare, una progressiva acquiescenza a questo degrado. Persino il Fiscogate, e tutto quanto gli fa e farà da contorno, sembra uscito non perchè turbava, ma perché era utile che uscisse.
In questo contesto il partito deve non solo mantenere, ma rafforzare, e di molto, la sua "azione difensiva" per "circoscritta" che sia. Deve darsi strumenti molto più efficaci e incisivi, una politica dell'informazione all'altezza dei compiti che ci poniamo e della visibilità che necessitiamo (non è pensabile che il presidente e pochi altri siano costretti ad occuparsi e intervenire su quasi tutto, con comprensibile affanno, ed essere magari anche presi a pesci in faccia). Altrimenti saremo «subalterni all'interno di progetti disegnati e decisi da altri», come teme Martinelli. Ma questi "altri" non dovranno neppure esporre i loro progetti. Basterà che l'andazzo attuale non trovi resistenza.
Poi (ma non per secondo), va preso sul serio quanto dice Martinelli: mancano probabilmente le idee forti d'una volta e "non è neppure avvertito il bisogno di sostituirle" (quanto è vero!).
E qui ancora una volta spetta anzitutto alla direzione avvertire questo bisogno. Avvertire questo bisogno non significa agire di persona anche su questo fronte, ma metterlo all'ordine del giorno, impegnare il partito a farlo, accogliere le nuove generazioni, creare strumenti adeguati.
La necessità di potenziare la "semplice" azione difensiva e nel contempo di acquisire nuove idee forti, ci indica probabilmente come formare le liste e su chi puntare, tutti assieme.

* avvocato

Pubblicato il 

15.12.06

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