Migranti

Privati del diritto al ricorso perché non gli consegnano le decisioni da impugnare. È la denuncia firmata da una decina di persone in fuga da guerre e dittature, arrivata in redazione. Ad essere espulsi anche persone in gravi condizioni fisiche. Il racconto di un caso concreto, ora in mezzo alla strada in Italia.


La lettera arriva da Realta, il carcere amministrativo del Canton Grigioni dove sono detenuti in attesa di estradizione i richiedenti l’asilo di competenza del canton Ticino a cui è stata negata la domanda d’asilo in Svizzera. La segreteria di Stato della migrazione (Sem) non entra in materia sulla loro domanda d’asilo in virtù dell’accordo di Dublino, ritenendo che ne sia competente il primo paese firmatario da cui il richiedente è entrato.  La sezione della popolazione del Canton Ticino ha ordinato la loro incarcerazione fino all’espulsione.

Nella lettera firmata da una decina di persone e corroborata da documentazione, si denunciano delle violazioni dei loro diritti. In particolare l’impossibilità di ricorrere contro la carcerazione amministrativa e la non entrata in materia alla domanda d’asilo. Non possono ricorrere perché le due decisioni si trovano sigillate nella busta degli effetti personali che gli sarà consegnata solo quando saranno espulsi. Per capire come si sia arrivati a questa situazione kafkiana, occorre fare un passo indietro, al loro arrivo in Svizzera.


Riassumiamo i fatti da loro descritti nella missiva attraverso la narrazione del caso individuale di Ulisse. Il suo percorso in Svizzera ha inizio dal centro di registrazione di Chiasso, dove depone domanda di asilo. Da giugno, visto l’importante afflusso a Chiasso, Ulisse sarà sottoposto solo a un breve interrogatorio, dove oltre alle generalità, gli viene domandato come sia arrivato in territorio elvetico. Ulisse, sopravvissuto al viaggio dalle mille peripezie di terra e di mare, ha una sola possibilità per arrivare al confine sud dell’Elvezia; attraversare quella gigantesca penisola incuneata nel Mar Mediterraneo che si chiama Italia. Mentre la procedura della domanda d’asilo si completa, Ulisse è trasferito in uno dei centri  per rifugiati del cantone.

 

Tempo qualche settimana, Ulisse viene prelevato dalla polizia cantonale, ammanettato e condotto in un posto di polizia dove gli sarà notificata la non entrata in materia (Nem) alla sua domanda di asilo perché giudicata di competenza italiana in base agli accordi di Dublino. A Ulisse viene anche notificata la sua incarcerazione fino a quando non sarà spedito in Italia. Ulisse viene dunque portato al carcere preventivo cantonale La Farera, dove resterà per alcuni giorni, trascorsi in cella da solo 23 ore su 24. Nessun contatto con parenti o eventuali avvocati.

 

Poi sarà trasferito al penitenziario grigionese di Realta. In quel carcere, benché isolato in cella 17 ore al giorno, Ulisse viene a sapere della possibilità di inoltrare ricorso contro le due decisioni. Per la Nem il tempo potrebbe essere scaduto, visto che ha solo cinque giorni per ricorrere.  Per impugnarle deve allegare le due decisioni al ricorso. Ma Ulisse quelle decisioni non le ha. Quei fogli di carta si trovano nel sacchetto sigillato degli effetti personali a cui avrà accesso solo quando sarà espulso in Italia. Inoltra comunque il ricorso, ma il Tribunale lo giudica irricevibile perché «non è stata allegata la decisione impugnata, come prescritto dalla legge».

 

Area ha interpellato Attilio Cometta, capo della Sezione della popolazione per sapere se fossero a conoscenza della problematica descritta nelle testimonianze pervenute in redazione. Ad occuparsi materialmente delle notifiche delle decisioni e dei trasferimenti dei detenuti amministrativi è la polizia cantonale, non la Sezione della popolazione. Dopo le opportune verifiche, Cometta ha potuto spiegare la procedura normalmente seguita. «Dopo la notifica, la traduzione e la firma, le due decisioni vengono inserite nella mappetta degli effetti personali (chiavi, documenti, soldi, ecc) oppure nei bagagli dei vestiti. Entrambe seguono la persona nei suoi spostamenti dalla Farera a Realta. Se il detenuto li richiede, di norma vengono consegnati. Non si esclude però vi possano essere stati dei casi di disguidi o delle incomprensioni, magari linguistiche, e il documento non riesce ad averlo. Ci chineremo sul problema per trovare una soluzione pratica affinché questa eventualità possa essere esclusa» conclude Cometta. 

 

Ustionato e rinviato: “Non sta morendo”


Le ferite le porta in faccia, Gaym. Ma non erano abbastanza quelle ustioni di terzo grado su buona parte del corpo, tre dita incollate della mano sinistra, la difficoltà a deambulare, il dolore fisico. Insomma, Gaym mica stai morendo (almeno per ora) e quindi a nessun motivo umanitario puoi appellarti. Ti spediamo in Italia. Non fa nulla se il paese è al collasso in merito all’emergenza migratoria e l’assistenza è quel che è, in un qualche modo ti cureranno. Quindi, fuori, rinvio confermato.


Il Tribunale amministrativo federale lo scorso 9 novembre ha respinto il ricorso del cittadino eritreo, accogliendo la decisione della Sem, la Segreteria di Stato della migrazione, Divisione Dublino. Le motivazioni?  «Il respingimento forzato di persone che soffrono di problemi medici non è suscettibile di costituire una violazione dell’art. 3 Cedu (Convenzione europea dei diritti dell'uomo) a meno che la malattia dell’interessato non si trovi a uno stadio avanzato e terminale al punto che la sua morte appaia come una prospettiva prossima». Per dirla in altre parole: secondo il tribunale,  l’uomo – vittima nel 2014 di un’esplosione avvenuta in un centro in Libia che gli ha provocato ferite sul 30% del corpo con conseguente trapianto di pelle effettuato a Catania – non avrebbe dimostrato di essere esposto a un rischio per la sua salute nel caso di un trasferimento in Italia.


Il respingimento forzato del 39enne, con evidenti problemi di salute, si inserisce nella politica svizzera che in maniera rigida e meccanica applica il “Regolamento di Dublino”, rifiutando quasi sistematicamente di applicare le disposizioni umanitarie che, previste dalla legge, permetterebbero di evitare il trasferimento delle persone più vulnerabili. Gaym è un uomo in una situazione particolare: non solo perché scappa da un paese dove per 18 anni è stato costretto a prestare servizio militare a tempo indeterminato e ha subito violenze e torture durante la fuga, ha ustioni invalidanti. Il trasferimento lo potrebbe seriamente esporre a un rischio in quanto – come evidenziato dal medico che lo ha visitato in Ticino dove è rimasto quattro mesi – necessita di cure specifiche. È questo il punto centrale sollevato da Sos Antenna profughi, che ha patrocinato l’eritreo nell’opposizione contro la decisione di non entrata in materia sull’asilo e all’allontanamento.
Ora, il tribunale ha sentenziato che non esiste il pericolo. Con tutta la buona volontà, non si può far finta di non sapere che cosa sta accadendo al di là del confine. «L’Italia attraversa una crisi migratoria eccezionale e non è più in grado di rispondere ai bisogni dei richiedenti l’asilo, né di garantire un accesso ai servizi di base come l’alloggio. È notoriamente difficile per queste persone ottenere delle cure mediche adeguate visto che sono senza abitazione fissa. Questa situazione è particolarmente degradante per le vittime della tortura che hanno bisogno di cure specifiche, senza le quali  il loro recupero è fortemente ostacolato». Lo spiega bene il “Centro svizzero per la difesa dei migranti”, fondato nel 2014 a Ginevra, per la difesa giuridica dei diritti fondamentali davanti alle istanze internazionali della Corte europea dei diritti dell’uomo e il Comitato contro la tortura delle Nazioni Unite.


Ecco, l’Italia impegnata con Mare Nostrum non riesce più a rispondere ai bisogni dei profughi. Figuriamoci di un profugo malato o disabile. Gaym, proprio il giorno in cui la sua storia di speranza di restare qui veniva raccontata da un quotidiano ticinese, si trovava già in carcere (detenzione amministrativa) per il respingimento forzato. Di lui si hanno notizie fino a una settimana fa: a Milano ha incontrato un medico, che fa parte di una rete di sostegno per aiutare i migranti in queste condizioni disperate, e poi si sono perse le sue tracce.


Sabato scorso si è tenuta una giornata sulla questione eritrea. Al termine dei due documentari “Just about my fingers”, di Paolo Martino, e “Sound of torture”, di Keren Shayo, la rappresentante del Cantone ha dichiarato: «Dal punto di vista istituzionale vedere con i propri occhi le conseguenze dei trasferimenti in Italia e in Grecia effettivamente è preoccupante». Dobbiamo forse andare tutti al cinema per comprendere la questione?

Pubblicato il 

03.12.15
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