L'editoriale

Si moltiplicano in tutta la Svizzera le iniziative tese a fermare il progressivo smantellamento degli uffici e dei servizi postali che suscita tanto malumore nella popolazione, nelle città come nelle zone rurali. Petizioni, richieste di moratoria, azioni sindacali, appelli delle autorità cantonali e comunali, atti parlamentari sono perlopiù cose buone e giuste che meritano di essere appoggiate. Ma bisognerebbe anche prendere consapevolezza del fatto che tutti questi esercizi hanno la stessa efficacia della reazione di un contadino che chiude la stalla quando i buoi sono già scappati.


La soppressione degli sportelli, il peggioramento del servizio all'utenza, il deterioramento delle condizioni di lavoro del personale, il taglio d'impieghi e le esternalizzazioni sono infatti il risultato (peraltro scontato) delle scelte politiche scellerate, risalenti alla fine degli anni Novanta, che hanno spianato la strada ai processi di privatizzazione di poste, telecomunicazioni e ferrovie e, nel caso specifico, alla trasformazione delle gloriose Ptt in una società anonima che opera secondo la logica del mercato e del profitto, mettendo in secondo piano il valore del servizio pubblico. Succede così che gli uffici chiudono e a un numero crescente di economie domestiche in posizioni discoste (erano 1100 a fine 2016, il 40 per cento in più rispetto a tre anni prima!) non viene più nemmeno garantito il tradizionale servizio di distribuzione dal lunedì al sabato, ma al massimo due o tre volte a settimana.


Alcuni tentativi di fermare questa deriva sono in atto, sia sul piano politico (da destra a sinistra) sia su quello della mobilitazione sindacale, ma i risultati sono modesti: del resto non si può pensare di curare una grossa ferita con dei cerotti.
Sarebbe dunque necessario, soprattutto da parte della sinistra e del movimento sindacale, compiere un salto di qualità sul piano delle rivendicazioni. Magari partendo da un’autocritica del proprio operato, da un riconoscimento del madornale errore commesso nell’appoggiare acriticamente i processi di privatizzazione voluti dalle lobby finanziarie per poi individuare una strada per correggerlo. Una strada che a nostro avviso può essere solo quella di riportare la Posta pienamente in mano pubblica e sottrarla così alle perverse logiche del mercato.


L’Unione sindacale svizzera Ticino e Moesa sta tentando da tempo di avviare un dibattito in questo senso a livello nazionale per tutte le ex regie federali, ma la discussione fatica tremendamente a decollare. Un vero peccato, perché l’unica alternativa rimane di fatto quella di continuare ad “accompagnare” lo sfacelo che è sotto i nostri occhi, col rischio di arrivare a un punto di non ritorno.

Pubblicato il 

22.06.17
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