Scandalo Lac

Una buona e una cattiva notizia. La buona notizia è che a tre anni dallo scoppio del bubbone della mala edilizia nel cantiere del nuovo centro culturale di Lugano (Lac), gli ex operai hanno recuperato i soldi dovuti. La cattiva è che a pagarli saremo noi. Ma procediamo con ordine.

 

A luglio il Tribunale d’appello ha messo la parola fine alla causa civile degli ex dipendenti della Ipi industrial plans, una delle due imprese coinvolte nello scandalo caporalato del Lac. Il Tribunale d’appello ha infatti bocciato il ricorso presentato dai legali della Ipi, confermando la sentenza emessa un anno fa dalla Pretura di Lugano.
In sostanza, la sentenza del pretore Francesco Trezzini dava ragione alla richiesta di risarcimento civile avviata dagli ex dipendenti della Ipi, tutelati dal sindacato Unia. In sede civile si chiedeva la differenza tra lo stipendio obbligatorio per legge del ccl edile di 24,95 franchi l’ora e quello realmente versato dai caporali di 8 euro l’ora (per maggiori dettagli si veda articolo sotto «la sentenza civile che parla chiaro»).


Ora, dopo la conferma in appello, i sindacalisti hanno recuperato il dovuto e lo hanno riversato agli operai taglieggiati. Complessivamente, siamo vicini ai 200.000 franchi.


Ricordiamo che la Ipi era una delle due ditte coinvolte nello scandalo nel cantiere Lac, dove eseguivano opere subappaltate dal consorzio Comsa - Edim Suisse, impresa generale vincitrice dell’appalto pubblico. Il bubbone della mala edilizia scoppiò nel 2011, grazie alla denuncia sindacale di Unia e al coraggio dei muratori taglieggiati. Una decina di loro, nonostante l’assoluta necessità di lavorare, infransero lo schema omertoso e testimoniarono al Procuratore generale John Noseda lo sfruttamento a cui erano sottoposti. A fare da collante tra la Procura e gli operai, furono i funzionari sindacali di Unia. Grazie a quelle rivelazioni, emerse che erano due le ditte sospettate di caporalato attive nel cantiere da 140 milioni di franchi pubblici del Nuovo centro culturale di Lugano. Il titolare e il caporale della seconda ditta coinvolta nell’inchiesta, la Concrete, furono condannati nel novembre del 2012 a 8 mesi ciascuno (sospesi con la condizionale per due anni) considerati colpevoli del reato di usura.


I responsabili della Ipi invece in aula non ci sono mai andati perché il procedimento penale non si è ancora concluso, come ha confermato ad area il Ministero pubblico. Come detto, si è invece conclusa la vertenza civile, consentendo il recupero dei soldi dovuti agli operai taglieggiati. E questa era la buona notizia.
Arriviamo alla cattiva notizia, triste e paradossale al medesimo tempo. Non paga chi ha sbagliato, ma la collettività attiva professionalmente. La Ipi è fallita il 10 giugno di quest’anno, un mese prima che il Tribunale d’appello mettesse fine alla vertenza legale. Anche se fosse fallita dopo, non sarebbe cambiato nulla. Non verserà dunque nemmeno un franco Emilio Bianchi, noto avvocato legato al Partito popolare democratico per conto del quale occupa cariche parapubbliche come la presidenza dell’aeroporto di Lugano. Bianchi ha ricoperto la carica di amministratore unico prima e presidente poi alla Ipi, dal giorno della sua fondazione nel settembre di tre anni fa, cioè sei mesi dopo l’avvio dell’inchiesta penale. Non pagherà nulla nemmeno Davide Tonetti, l’ex direttore della Ipi e poi amministratore unico quando Bianchi lascerà la carica. Teoricamente Tonetti dovrebbe approdare in un’aula penale per rispondere alle accuse promosse dal Ministero pubblico di usura, estorsione e falsità in documenti nella vicenda Lac. Questo se e quando l’inchiesta sui fatti del 2011 sarà conclusa. Tonetti intanto continuerebbe ad essere attivo nell’edilizia ticinese. Unia lo aveva denunciato pubblicamente lo scorso anno, quando segnalava il processo d’infiltrazione della malaedilizia nel settore della posa del ferro. Unia segnalava che Tonetti ricopriva un ruolo direttivo in un’azienda ticinese attiva nel settore della posa del ferro. Una ditta che collabora sovente con grandi imprese di costruzione cantonali.


Ma torniamo al giusto risarcimento degli ex dipendenti Ipi taglieggiati. Un risarcimento a cui ci ha pensato la collettività con la procedura d’insolvenza. In sostanza, la Cassa disoccupazione, finanziata coi contributi dei lavoratori e di aziende.


L’insolvenza è un buon meccanismo che evita di lasciare nell’indigenza i dipendenti per colpe non loro ma degli imprenditori. Nella stragrande maggioranza dei casi però, quei debiti accumulati dai privati titolari di aziende ricadono sulle spalle della comunità. La cassa disoccupazione infatti anticipa i soldi dei salariati e insinua il credito presso la ditta fallita. Ma, di norma, queste aziende non hanno nemmeno un soldo e la cassa disoccupazione resta col cerino del debito in mano. O meglio, quel debito ce lo accolliamo noi.


Nel grafico riportato nell'articolo correlato «i milioni di franchi di salari che paghiamo noi» (a destra) si evidenzia quanto i debiti siano importanti e invece quanto siano quasi insignificanti gli importi recuperati. La colpa è della legge sulla disoccupazione che non consente di rifarsi sulle persone che gestivano la società. Se invece gli amministratori di una ditta non avessero pagato gli oneri sociali, le autorità competenti possono chiedere il conto direttamente a loro come previsto dalla Legge Avs (Lavs). Una differenza legale di peso, visti i risultati economici per le casse pubbliche. I contributi sociali lasciati impagati sono infatti recuperati in percentuale ben più alta rispetto alle insolvenze dei salari, come spiegano dagli uffici cantonali competenti. Insomma, se esiste la possibilità legale di andare a chiedere il conto direttamente alle persone responsabili, queste pagano.


La pratica del caporalato venuta alla luce nello scandalo Lac e le notizie di cronaca sui casi di malaedilizia, avevano indignato l’opinione pubblica. I diretti interessati, i muratori attivi nel cantone, si erano mobilitati ed esposti in prima persona. Il 4 luglio 2011 erano in molti ad aver incrociato le braccia nella giornata di mobilitazione indetta dal solo sindacato Unia. Oltre un migliaio di edili aveva sfilato per le vie di Lugano dietro lo striscione: «Schiavi mai! Nessuna pietà per caporali e faccendieri».


Chissà che cosa penseranno oggi quei muratori che i soldi dei giusti risarcimenti agli operai sfruttati vengano anche dalle loro tasche, mentre i colpevoli non sborseranno neanche un franco. Difficilmente potranno dire: «giustizia è fatta».

Pubblicato il 

10.09.14

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