Chi per convinzione, chi per fanatismo (patriottico), chi per curiosità o casualità, molti per un mese finiranno per trovarsi di fronte allo schermo a seguire una partita del Campionato europeo di calcio 2016 che si svolge in Francia. Una sfida tra 24 nazioni. Si è qualificata anche la Svizzera, la quale, senza l’apporto dell’immigrazione, non esisterebbe. Neppure per l’allenatore. Uno stato di necessità che si vende come esemplare apertura o come risultato di integrazione funzionante.


Presi dalla competizione, dalle sorti della propria nazione, dall’ampia offerta televisiva che dalle nostre parti è ancora tutta “in chiaro” (non soggetta a limiti e pagamenti a parte, come capita altrove), non si va molto oltre. Uscendo dagli abituali commenti ma, tutto sommato, rimanendo nel titolino di questa rubrica, rileviamo qualcosa di “invisibile”.


La prima cosa ce la suggerisce un’alleanza tra sindacati e organizzazioni non governative (ong) asiatiche, l’Asian Floor Wage. Che si interroga, con efficacia: qual è il punto in comune tra Cristiano Ronaldo (star della nazionale portoghese) e un operaio di una fabbrica di tessili vietnamita? Risposta: la Nike. Il primo riceve da quella marca una sponsorizzazione di 25 milioni di euro all’anno per portarsi addosso il famoso logo. Il secondo confeziona scarpe o maglie per 170 euro al mese, che non è neppure il “salario vitale” per far fronte ai bisogni essenziali di una famiglia vietnamita. Asian Floor Wage fa un semplice calcolo: quanto la Nike versa per la pubblicità a un solo giocatore permetterebbe a 19.000 operai vietnamiti di essere rimunerati per un anno intero con un salario vitale. Per completare il quadro bisognerebbe anche aggiungere che in un decennio i dividendi versati da Nike ai propri azionisti sono aumentati del 135 per cento (3 miliardi di euro lo scorso anno). Oppure che su 100 euro che noi consumatori spendiamo per un paio di scarpette Nike, solamente due vanno a chi le ha confezionate. Poche cifre, certe e verificabili, forse sufficienti per farci pensare, tra una partita e l’altra, come va questo mondo economicamente strampalato e soprattutto umanamente aberrante. Di cui, purtroppo, finiamo per essere complici.


La seconda può suggerirla una domanda che qualcuno, benché preso dal gioco, forse si pone: a chi profitterà questo Euro 2016? Sappiamo che tra diritti di trasmissione televisiva (carissimi), gli sponsoring (Nike, Adidas, Puma ecc.) e biglietteria, l’Uefa (l’Unione europea delle federazioni calcistiche, che organizza il campionato) vuole incassare 2 miliardi di euro. Ha comunque preteso di non pagare un soldo d’imposta. Sarkozy ha accettato, commettendo un’ingiustizia. Un esonero di oltre 200 milioni di euro, secondo i calcoli dell’Assemblea nazionale. La ripartizione degli utili è semplice: l’Uefa si tiene tutto. Forse si spiegano in tal modo le somme milionarie che circolano tra i dirigenti. O da dove si dovrebbe cominciare. Il discorso che giustifica tutto sono le ricadute economiche che ci si attende: 1,3 miliardi di euro, si pronostica. Le esperienze precedenti hanno sempre smentito queste previsioni farlocche, anche perché calcolano le ricadute positive, mai quelle negative (pensiamo agli investimenti poi sprecati, ai costi della sicurezza ecc.). C’è un segnale illuminante sul mutamento di atteggiamento riguardo alla validità economica di questi avvenimenti: Boston e Amburgo, città non minori, hanno ritirato la loro candidatura per i giochi Olimpici del 2024… perché sono un costo insostenibile e uno spreco, comunque senza un tornaconto difendibile, non solo economico.

Pubblicato il 

09.06.16
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