Eternit bis

L’ex padrone dell’Eternit Stephan Schmidheiny potrà essere processato per l’omicidio intenzionale di centinaia di persone, morte ammazzate dalle polveri d’amianto disperse negli ambienti di lavoro e di vita dalle sue fabbriche in Italia tra la metà degli anni Settanta e la metà degli anni Ottanta, quando era a capo della multinazionale svizzero-belga.

Lo ha stabilito la Corte costituzionale italiana lo scorso 21 luglio con un’attesissima sentenza che spiana la strada ad un nuovo rinvio a giudizio per il miliardario svizzero, salvatosi da una pesante condanna per disastro ambientale nel primo storico processo – conclusosi nel novembre 2014 – solo grazie alla prescrizione. La decisione formale, che spetta al giudice dell’udienza preliminare di Torino (Gup), dovrebbe giungere entro qualche mese.


La celebrazione di un secondo processo, hanno sentenziato i giudici della Consulta, non comporterebbe infatti una violazione del principio del diritto (detto “ne bis in idem”) secondo cui nessuno può essere giudicato due volte per gli stessi fatti e che era stato invocato dai legali di Schmidheiny e fatto suo dalla Gup Federica Bompieri. Anche se i reati contestati nel primo processo (disastro ambientale e omissione di misure anti-infortunistiche sul luogo di lavoro) sono riconducibili alla medesima condotta all’origine dell’incriminazione per omicidio, i fatti non si possono ritenere identici, affermano in sostanza i giudici, seppur con un linguaggio molto più tecnico ed elevato: “Non vi è (...) alcuna ragione logica per concludere che il fatto (...) si restringa all’azione o all’omissione, e non comprenda, invece, anche l’oggetto fisico su cui cade il gesto, se non anche (...) l’evento naturalistico che ne è conseguito, ovvero la modificazione della realtà indotta dal comportamento dell’agente”. Insomma: non ha senso parlare di “stessi fatti” di fronte a casi di omicidio che non sono mai stati esaminati da nessun giudice soltanto perché Schmidheiny è già stato processato per disastro ambientale, che è un fatto completamente diverso dalle morti dei singoli lavoratori e cittadini, oggetto dell’Eternit bis.
I fatti possono essere considerati “medesimi” solo se si riscontra la coincidenza di tre elementi: la condotta, il nesso causale e l’evento naturalistico, spiega la Corte costituzionale, che conclude: “(...) non dovrebbe esservi dubbio, ad esempio, sulla diversità dei fatti, qualora da un’unica condotta scaturisca la morte o la lesione dell’integrità fisica di una persona non considerata nel precedente giudizio, e dunque un nuovo evento in senso storico. Ove invece tale giudizio abbia riguardato anche quella persona occorrerà accertare se la morte o la lesione siano già state specificamente considerate, unitamente al nesso di causalità con la condotta dell’imputato, cioè se il fatto già giudicato sia nei suoi elementi materiali realmente il medesimo, anche se diversamente qualificato per il titolo, per il grado e per le circostanze”


In parole povere questo significa che tutti i casi nuovi mai considerati nel primo processo possono sicuramente essere oggetto di giudizio nell’Eternit bis e quelli già indicati nel primo capo d’imputazione pure, ma a condizione che non siano stati oggetto di specifico accertamento. Su quest’ultimo punto, alla ripresa dell’udienza preliminare in cui si stabilirà l’eventuale nuovo rinvio a giudizio per omicidio, vi sarà scontro tra le parti visto che la difesa dell’imputato farà di tutto per sfoltire al massimo il numero di omicidi contestati. «Siccome nel primo processo nessun caso è stato discusso specificamente, ritengo che tutti quanti debbano essere sottoposti a giudizio», afferma l’avvocata Laura D’Amico, legale delle vittime dell’amianto.


Se le cose andassero così, nell’Eternit bis potrebbero entrare quasi 400 omicidi, poiché ai 258 considerati nella richiesta di rinvio a giudizio dalla Procura di Torino se ne potrebbero aggiungere altri 130 consumatisi successivamente. In effetti, purtroppo, a Casale Monferrato (la cittadina in provincia di Alessandria già sede del più grande stabilimento Eternit) e nei comuni vicini, la strage continua: i morti d’amianto hanno ormai superato quota 2000 e ancora oggi, a trent’anni dalla chiusura della fabbrica maledetta, ogni settimana si continua a registrare una nuova diagnosi di mesotelioma e un decesso per questa malattia che purtroppo non dà scampo. Proprio in questa pagina ci tocca ricordare Giuseppe Manfredi, il presidente dell’Afeva, l’Associazione Familiari e Vittime Amianto, che lo scorso 16 agosto se n’è andato a soli 66 anni, stroncato anche lui dal mesotelioma.
Ma Casale è una comunità che, nonostante le sofferenze e le sconfitte, non si piega: sono trascorsi ormai quarant’anni dalle prime esemplari lotte sindacali dentro la fabbrica che progressivamente (e non senza difficoltà) si sono estese alla società civile grazie all’impegno di figure come Bruno Pesce (oggi coordinatore del Comitato Vertenza Amianto) e altri Sindacalisti con la “S” maiuscola che non hanno mai abbandonato le vittime delle condotte criminali di Stephan Schmidheiny e che da allora, quotidianamente, lottano per la giustizia, per la bonifica del territorio e per la ricerca sul mesotelioma. «Andiamo avanti senza esitazioni. Questo abbiamo fatto sin qui e questo è quello che continueremo a fare, finché sarà possibile», assicura Bruno Pesce.

 

Pubblicato il 

24.08.16

Dossier

Nessun articolo correlato