Sicurezza privata

Mettiti la divisa. No, dai la stella da sceriffo no, non è Carnevale. Però con poco puoi creare una società, metterti in uniforme e girare per le strade a fare il vigilante e “garantire” la sicurezza. Rambo, no Argo. E i bravi, come don Rodrigo, puoi pagarli tre soldi e una cicca. A chi è assicurata la nostra sicurezza? Per favore, che qualcuno chiami la polizia: non ci sono soldi per potenziarla? D’accordo. Diamine, allora che intervenga lo Stato. No, neppure quello, che ha messo la firma su contratti capestro legittimando il dumping a ditte ambigue. E qualcuno prende pure le botte. Allora che la società civile si interroghi sui tagli nel settore pubblico per dirottare le risorse ai privati. E sugli interessi di chi ci amministra.

Non è stato un fulmine a ciel sereno. Che il ramo della sicurezza privata fosse traballante non lo si scopre oggi con lo scandalo Argo. È dello scorso mese di giugno l’interrogazione, firmata dai pipidini Giorgio Fonio e Nadia Ghisolfi, che prendendo atto di come gli enti statali facciano sempre più capo ad agenzie di sicurezza per lo svolgimento di compiti di sorveglianza, auspicavano dal governo un maggiore controllo nel momento dell’assegnazione dei mandati pubblici. Già, per prevenire situazioni di dumping. Tra i criteri per assegnare i mandati si chiedeva al Consiglio di Stato «una attenta valutazione delle condizioni effettive di lavoro del personale alle dipendenze delle agenzie di sicurezza per evitare che, dietro l’assolvimento di prestazioni di interesse pubblico, si celino modalità lavorative inadeguate e fonti di precarietà per il personale che finiscono per caricare costi sociali sulla collettività». Parole forse neppure così profetiche perché il quadro è chiaro da tempo.


E al di là delle gravi e condannabili condizioni di lavoro, di cui il Cantone si è reso complice, rimane aperta la questione dell’importanza di un campo che, toccando appunto la sfera della sicurezza, non può essere delegato a chi non possiede le adeguate competenze. In questo senso va letta la recente mozione di Massimiliano Ay, del Partito comunista, che chiede di «valutare il divieto per l’ente pubblico di esternalizzare mandati ad agenzie di sicurezza private perlomeno in ambiti sensibili quali centri per richiedenti l’asilo, laboratori di ricerca con presenza di sostanze tossiche, istituti scolastici e altre strutture ritenute particolari in quanto legate a contesti potenzialmente fragili».


Quello della sicurezza – come si sottolinea nell’atto parlamentare – è un settore estremamente delicato che non può limitarsi alla mera repressione, ma «necessita di un’adeguata formazione psico-pedagogica (e non solo) riguardante la gestione dei conflitti, che dubitiamo possa essere acquisita con le sole otto ore di psicologia e cinque di diritto previste dalla formazione per l’ottenimento del certificato Cpsicur».
Appaltare la gestione della sicurezza ad aziende private può, ce lo dice la cronaca, rivelarsi pericoloso. Già un’indagine del 2006, affidata a Walter Kälin, professore di diritto costituzionale all’Università di Basilea, evidenziava l’esigenza di una struttura formativa da adeguare. Secondo lo studio, i vigilanti non erano in grado di gestire situazioni complesse per mancanza di un’adeguata preparazione con il pericolo di passare facilmente alle vie di fatto. Kälin metteva in guardia anche sul fatto che nel momento in cui si interviene sui diritti fondamentali della persona, la privatizzazione non ha più una base legale.


Le società private che offrono servizi di sicurezza, notificate alla Polizia cantonale, in Ticino sono 129 con circa 1.500 dipendenti, i quali dal 2014 sono obbligati a seguire una formazione di base, molto basic, in un corso di 40 ore (!) sviluppato dal Decs. Tante le ditte a dimostrazione di una nicchia di mercato che fa gola a molti. Perché tanto appetito? La torta è così grande da soddisfare la fame di tutti? È una realtà nazionale, e non solo cantonale: sono diminuite le risorse pubbliche destinate alla sicurezza. Si punta sulle politiche per alleggerire la pressione fiscale per i grandi azionisti e i gruppi aziendali (ne è stata la dimostrazione lampante il tentativo del governo federale di far passare la “Riforma III dell’imposizione delle imprese” affossata dal popolo) e con meno soldi nelle casse statali si riducono di conseguenza i servizi dati ai cittadini. Avanza il privato a offrire i suoi servigi laddove lo Stato non è presente, che può sottoscrivere contratti d’oro senza per questo retribuire per forza in maniera corretta il personale (stiamo sempre parlando di cronaca recente).
La sicurezza in mani private fa paura prima di tutto alle stesse forze dell’ordine. «Quello che non si riesce a capire è il fatto che la sicurezza è un investimento a vantaggio di tutti» sottolinea Max Hofmann, segretario generale della Federazione svizzera dei funzionari di polizia (Fsfp). Ma le forze di polizia oggi, a causa dei tagli e delle misure di risparmio, «non dispongono delle risorse adeguate per far fronte alle esigenze». Manca, all’interno dei corpi cantonali e comunali, il personale per gestire ad esempio le manifestazioni sportive e politiche, dove invece la presenza della polizia sarebbe sempre più necessaria, e la si affida così all’esterno. «La polizia privata è un nonsense. Quando è stato deciso di istituire una nuova polizia ferroviaria, le Ferrovie federali hanno pensato di dare vita a una joint venture con la Securitas, la quale è riuscita ad assicurarsi il 49% del pacchetto» annota Hofmann.


Già, nel 2013 la Procura aveva espresso preoccupazioni riguardo al personale di sicurezza privato che non disponeva della istruzione di base sulle tecniche di intervento, sulle possibilità di evitare i conflitti e su altri temi di sicurezza in generale. Con un risultato che spesso, si sottolineava, era il contrario di quanto auspicato: aumento dei conflitti, scontri fisici tra persone. Facendo il resoconto dell’attività 2012 della magistratura, il pg John Noseda aveva dichiarato che c’erano stati dei casi in cui «i servizi di sicurezza si sono rivelati dei servizi di pestaggio e di insicurezza».


Poi con la revisione della “Legge sulle attività private di investigazione e di sorveglianza”, entrata in vigore nel 2014, si è resa obbligatoria la formazione di base e quella permanente per gli agenti di sicurezza. Alla luce dei fatti, è da ritenere che non sia una misura sufficiente. Che gli sceriffi li facciano fare solo ai bambini a Carnevale. E che i ministri che amano tanto il Carnevale, lo capiscano, non diano i nostri soldi a chi è in odore di malavita, non espongano al pericolo né chi dovrebbe essere sorvegliato né i cittadini facendoli precipitare in un sistema senza protezioni. In un far west della legalità.

Pubblicato il 

16.03.17
Nessun articolo correlato