L’economia quando imbriglia la ragione o la politica, come è ormai norma, cade in paradossi e contraddizioni. Soffermiamoci su un esempio significativo di questi giorni.
Uno dei crucci maggiori dell’economia sta nel fatto che non c’è più crescita. Non quella di una volta, a due cifre. Quella di una misera unità attorno allo zero. Rompicapo di tutte le economie, anche quella svizzera.
La ragione pretendeva un’autocritica sul tipo di economia dominante da trent’anni in qua, che prometteva felicità universale, perché l’enorme ricchezza creata si sarebbe riversata a effetto pioggia su tutti. Sappiamo com’è andata. Successive crisi hanno portato al crollo del 2008 e ad una grave depressione, non ancora risolta. L’autocritica non è arrivata.


La prima contraddizione si è posta tra la necessità di creare domanda (aumentare i consumi), ma imporre austerità e restrizione dei bilanci pubblici, per ridurre il debito generato proprio da quell’economia, dai danni provocati dalla globalizzazione, la deregolamentazione, la liberalizzazione. Prime vittime del risparmismo all’ultimo sangue sono sempre, anche in Svizzera, la politica di ridistribuzione della ricchezza, la sanità con i costi maggiormente riversati sugli individui, la formazione e la ricerca considerate costi sul corto termine e non redditività sul lungo termine.


La seconda contraddizione si è posta tra l’iniezione di somme enormi di denaro da parte delle Banche centrali per incrementare offerta e domanda o sostenere il corso del cambio. Somme finite perlopiù nelle banche per sanare i loro buchi neri della crisi o per incrementare  l’economia di carta, quella della infinita speculazione finanziaria. Con il risultato che la ricchezza si è concentrata, non si è distribuita, sono aumentate in maniera gigantesca l’ineguaglianza e le disparità di reddito. Tanto da diventare, con l’assillo della crescita che non parte, la seconda grave preoccupazione delle stesse organizzazioni economiche-finanziarie internazionali  che hanno sfornato una serie di rapporti allarmanti.


Di fronte a questa situazione che cosa ti inventano disperati gli economisti omologati, con il sorriso accondiscendente di qualche Banca centrale?  Si distribuiscano mille euro o mille franchi da spendere ad ogni cittadino, domanda ed economia partiranno. Non è una trovata nuova. L’aveva già ideata un economista americano, Milton Friedman, che, guarda caso, è uno degli ispiratori dell’economia odierna (egli prevedeva che il denaro fosse distribuito con un elicottero, tanto che si è coniata l’espressione: helicopter money).
Non è che ad uno di questi economisti e governatori luminari venga l’idea che il modo migliore e più giusto per ridistribuire la ricchezza e dare quindi vita prima alla giustizia e poi all’economia, sia quello  di considerare il lavoro non solo una merce ed un costo o semplicemente di aumentare le retribuzioni salariali; l’impresa non solo una macchina per far profitti e distribuire dividendi; l’azione ridistributrice dello Stato con una fiscalità non per favorire chi ha (con l’idea fissa che altrimenti scappa) e con trasferimenti sociali che  diano equilibrio a chi non ce la fa? Appare così tra l’altro la miglior bubbola la orchestrata opposizione a un’iniziativa che chiede un reddito minimo per tutti, ritenendola somma follia, e l’idea invece di far piovere dal cielo mille franchi come unica manna possibile per rianimare l’economia.

Pubblicato il 

07.04.16
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