Non ci sono le prove che i lavoratori frontalieri sostituiscono sistematicamente la manodopera residente in Ticino. Se i frontalieri aumentano sul mercato del lavoro ticinese è perché essi seguono il ciclo economico. Ma per la manodopera locale alcuni punti critici devono destare preoccupazione: il ramo del commercio, il ruolo delle agenzie di collocamento e sopratttto l'aumento di lavoratori frontalieri qualificati nel terziario.

Il Ticino è di gran lunga la regione economica con il maggior numero di lavoratori frontalieri in rapporto al totale della popolazione occupata (cfr. tabella in alto). Soltanto il canton Ginevra è in una situazione paragonabile a quella ticinese per l'incidenza della manodopera frontaliera sul mercato del lavoro: per entrambi la percentuale è di circa il 22 per cento. Tuttavia a differenza del Ticino, che è stretto fra la frontiera a sud e la barriera delle Alpi a nord, il canton Ginevra non è un mercato del lavoro chiuso ma è inserito nella grande regione economica del Lemano. Ecco perché la questione della presenza di lavoratori frontalieri sul mercato del lavoro regionale è nettamente più sentita in Ticino che nel resto della Svizzera.
A gettare ulteriore benzina sul fuoco ci stanno pensando in questi mesi la Lega dei Ticinesi e l'Udc. I due partiti di destra stanno ripetendo fino alla noia la loro tesi dell'effetto di sostituzione della manodopera indigena da parte di lavoratrici e lavoratori frontalieri, effetto favorito a loro dire dagli accordi sulla libera circolazione delle persone e dalla disponibilità di chi vive in Italia a lavorare in Ticino per salari più bassi.
Ma la tesi della destra non tiene. O per lo meno non ci sono le prove che la possano dimostrare. È quanto emerso dallo studio che la Commissione tripartita in materia di libera circolazione delle persone (Ct) ha commissionato all'Istituto di ricerche economiche (Ire) sul rapporto fra disoccupazione e frontalierato in Ticino. Secondo la principale conclusione dello studio, non ci sono prove scientifiche a sostegno della tesi di una sostituzione sistematica di manodopera locale con frontalieri. Questo d'altro canto non esclude però che ci siano casi isolati, o comunque non sistematici, di sostituzione. Per i ricercatori dell'Ire l'aumento costante del numero di frontalieri in Ticino a partire dalla fine degli anni '90 si spiega in larga misura con la forza relativa dell'economia ticinese rispetto alle regioni confinanti.
Il numero dei frontalieri in Ticino ha sempre seguito un andamento strutturale, cioè in linea con il ciclo economico. Cresciuti dai 30 mila del 1983 ai 41 mila dei primi anni '90, essi erano poi scesi ad un minimo storico di circa 28 mila nel 1998, nel periodo di massima crisi. Da allora è una crescita costante, con un rallentamento nei primi anni del millennio e un'accelerazione dal 2005, che ha portato il numero di frontalieri in Ticino agli attuali 48 mila. Quello che colpisce in questa nuova crescita è che essa non si sia arrestata neppure con lo scoppiare della crisi iniziata nel 2007. Da allora, per la prima volta, all'aumento della disoccupazione in Ticino non ha fatto fronte una diminuzione proporzionale del numero dei frontalieri, ma al contrario un suo incremento. Da qui la tesi dell'effetto di sostituzione.
In realtà quanto accaduto negli ultimi anni dev'essere analizzato per settore economico. Si scopre allora che l'incremento della disoccupazione in Ticino è da ascrivere in larga misura al secondario, settore nel quale si è registrato pure un'emorragia di frontalieri. Il numero complessivo di frontalieri ha però continuato a crescere perché sono notevolmente aumentati quelli attivi nel terziario, settore che ha risentito meno della crisi. In realtà i frontalieri nel terziario sono in crescita consistente dall'inizio del millennio, tanto che dal 2005 per la prima volta sono più i frontalieri occupati nel terziario che quelli impiegati nel più tradizionale settore secondario. Se per tutti gli anni '90 i frontalieri occupati nel terziario sono stati circa 10 mila, oggi essi raggiungono ormai le 25 mila unità. Un incremento ampiamente favorito dalle agenzie di collocamento. Ma che è dovuto in massima parte alla forte capacità di attrazione del Ticino, con un'economia in crescita (soprattutto rispetto alle vicine province italiane) e un basso costo del lavoro.
Per gli studiosi dell'Ire l'aumento della manodopera frontaliera degli ultimi anni, se è stato in parte favorito anche dagli Accordi bilaterali, si spiega soprattutto con il cambio strutturale intervenuto nell'economia ticinese a cavallo del millennio, un'economia sempre meno dipendente dal secondario e sempre più rivolta al settore dei servizi. In altri termini, in Ticino mancano le figure professionali in grado di supportare questa improvvisa e forte crescita del terziario. Ragione per cui esse vengono "importate" dalle vicine zone di confine (con qualche problema che cominica a manifestarsi per l'equilibrio interno, osservano gli studiosi dell'Ire). A questo fenomeno s'è accoppiato negli ultimi anni un aumento della disoccupazione per cause congiunturali (crisi del settore industriale). Ma il primo fenomeno non è causa del secondo.
Diversi sono comunque i punti delicati su cui lo studio dell'Ire attira l'attenzione e che pure la Ct sottolinea. In primo luogo lo sviluppo delle agenzie di collocamento, che pure, rileva la Ct, sono già sotto stretta sorveglianza. Poi la situaizone nel ramo commerciale, che da tempo appare in situazione critica. O ancora la difficile situazione dei disoccupati di media età, spesso di lunga durata e con formazione non elevata, il cui numero è in continua crescita.
Ma quel che oggi deve preoccupare maggiormente il Ticino, soprattutto in proiezione futura, è la mancanza di personale in grado di far fronte alle nuove esigenze del terziario. Il mercato ticinese oggi richiede sempre più lavoratori con alti livelli di istruzione e in grado di assumere compiti di responsabilità. Figure che sempre più mancano in Ticino e che è necessario chiamare da oltre confine se si vuole continuare a sostenere la crescita del terziario e dunque dell'economia cantonale. Tutto un altro quadro rispetto a quello dipinto dalla Lega dei Ticinesi e dall'Udc.  

Pubblicato il 

18.03.11

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