“Sotto le macerie del muro di Berlino, un quarto di secolo fa, restarono sepolti non solo il comunismo, i suoi errori, i suoi crimini. Il crollo tirò dietro, purtroppo, molto di più. L’idea stessa, in larghe sacche dell’Europa orientale, della solidarietà. Quella che va oltre l’egoismo di bottega, di contrada, di paesotto”. (Gian Antonio Stella, Corriere della Sera)


“Non si può più balbettare, fare le acrobazie tra le nostre paure e i nostri slanci… È l’ultima occasione per vedere se i governanti europei saranno all’altezza della Storia. È l’occasione per ognuno di noi di fare i conti con il senso ultimo dell’esistenza”. (Mario Calabresi, La Stampa).


Ho voluto scegliere, di proposito, gli estratti di due articoli, fra i tanti che ho letto, per introdurre queste mie riflessioni su un’estate da ricordare non tanto (e, oso sperare, non solo) per il gran caldo che l’ha caratterizzata, quanto invece (anzi, soprattutto) per il dramma dei profughi che ci ha sbattuto in faccia; un dramma enorme, che ha una volta ancora evidenziato quanto sia ballerina la coscienza umana quando si tratta di tradurre in pratica il concetto di solidarietà e quanto sia corta la memoria quando si tratta di comportarsi con gli altri di oggi come gli altri di ieri si erano comportati con noi stessi.


Al riguardo, i segnali che giungono dall’Est europeo sono preoccupanti.
Nel 1956, quando l’Ungheria venne invasa dalle truppe sovietiche furono molte le persone che lasciarono quella terra, verso la libertà, dirette anche in Svizzera e in Ticino, dove molte si stabilirono definitivamente, costituendo in molti casi anche un valore aggiunto per la nostra società nelle sue varie articolazioni. Di quel dramma ungherese ho il ricordo vago del ragazzo undicenne che allora ero, ma ho però ben presente una fiaccolata di solidarietà, di fronte al debarcadero di Locarno, alla quale partecipai con i miei nonni.
La stessa situazione si verificò nel 1968, quando ad essere invasa fu la Cecoslovacchia e la primavera di Praga soffocata nel sangue.


Per questo fa male al cuore leggere ora notizie di muri che si erigono alle frontiere per arginare la marea di persone in fuga dalle guerre e di marchiature col pennarello operate dai poliziotti, ascoltare parole che trasudano oscurantismo e egoismo cinico come quelle del presidente ungherese, vedere immagini raccapriccianti che hanno come teatro la stazione di Budapest e l’autostrada che porta a Vienna.
Quello che si sta consumando sotto i nostri occhi è un dramma di immense proporzioni; difficile da gestire, sì, ma certamente non con l’uso delle maniere forti a prescindere, non chiudendo gli occhi per non vedere, non sbattendo la porta in faccia alla solidarietà.


E la solidarietà, sia ben chiaro, va messa in pratica anche in altri contesti. Sempre e comunque. Anche qui da noi. Soprattutto qui da noi. Senza limiti di tempo e senza limiti d’età.       

Pubblicato il 

10.09.15

Edizione cartacea

Rubrica

Nessun articolo correlato