Elezioni italiane

Il voto all’estero si esprime per corrispondenza, cioè le schede di voto vanno inviate per posta al consolato italiano competente per zona (che funge da ufficio elettorale). Nella circoscrizione elettorale “estero”, unica in tutto il mondo, i cittadini italiani che vivono fuori d’Italia possono eleggere 12 deputati e 6 senatori. La circoscrizione è divisa in 4 ripartizioni: Europa, America meridionale, America settentrionale e centrale, resto del mondo. Il numero degli eletti in ciascuna ripartizione dipende dal rispettivo numero di cittadini italiani che vi risiedono. Per l’Europa (la ripartizione con maggior numero di votanti, le cui comunità più folte si trovano in Svizzera e in Germania) sono state presentate 9 liste di candidati alla Camera dei deputati e 7 liste di candidati al Senato della Repubblica.
Tutti i principali schieramenti vi sono rappresentati. L’esperienza delle due precedenti elezioni dice che i candidati attivi e conosciuti in Svizzera e in Germania hanno maggiori probabilità di venir eletti. A sinistra, nelle liste del Partito democratico (Pd) ci sono gli uscenti Franco Narducci e Giovanni Farina, candidati alla Camera, e Claudio Micheloni, candidato al Senato. Tra i nuovi candidati, sempre nelle liste del Pd, si notano gli “svizzeri” Domenico Mesiano (componente del Direttivo della sezione Unia del Centro Vallese) ed Emilia Sina-Marghelisch (dirigente delle Acli in Svizzera, schierata con Matteo Renzi alle ultime primarie del centrosinistra). Nella lista per la Camera di “Sinistra Ecologia Libertà” (Sel, il movimento di Nichi Vendola) spicca il nome di Guglielmo Bozzolini, direttore della Fondazione Ecap-Cgil (ente di formazione) in Svizzera.
Per capire l’impegno e i contenuti di questa campagna elettorale tra i candidati nella circoscrizione estero residenti in Svizzera, abbiamo intervistato il senatore uscente Claudio Micheloni ed il candidato alla Camera Guglielmo Bozzolini.

 

 

Intervista Claudio Micheloni

È soddisfatto del lavoro fatto nei suoi sette anni in parlamento?
Sì per il lavoro svolto nei primi due anni, perché abbiamo potuto mettere maggiori risorse per i corsi di lingua e cultura, per i servizi consolari, insomma per l’insieme dei capitoli di spesa per gli italiani all’estero. Poi abbiamo avuto quattro anni di Berlusconi che sono stati un disastro: i fondi sono stati tagliati nell’ordine del 75-80 per cento; i corsi di lingua e cultura sono praticamente moribondi; i servizi consolari vanno avanti con una riforma contraria alle proposte che come partito portiamo avanti. E nell’ultimo anno, con il governo Monti, eravamo nella situazione finanziaria che tutti conoscono.

Riescono i parlamentari degli italiani all’estero a farsi sentire davvero in Parlamento?
In luglio, quando al Senato c’era il progetto di leggedi riforma della Costituzione, sono stati presentati da Pdl, Lega e Idv oltre 15 emendamenti che proponevano la soppressione del collegio estero. Per difendere questo collegio sono intervenuto in aula e ho detto che la presenza di parlamentari italiani eletti all’estero non è importante per gli emigrati, ma è importante per l’Italia se la politica italiana capisce la necessità di mantenere il rapporto con milioni di italiani nel mondo. Se questo è un rapporto vivo, essi sono una risorsa economica, culturale e politica. Però una responsabilità l’abbiamo anche noi italiani all’estero, nel senso che abbiamo mandato al Parlamento 18 persone che hanno eccessivi legami con enti e strutture italiane. Non parlo dei partiti politici, perché andare al Parlamento senza stare in un partito forte non serve a niente. Gli eletti non devono però rispondere ad altre istituzioni, ad altri enti che danno servizi e fanno altre cose per gli italiani all’estero.

Ma quanto ascolto e sostegno trovano nei rispettivi gruppi e nei rapporti con gli altri partiti?
Io devo ringraziare il gruppo del Pd al Senato, che non mi ha mai lasciato solo ed ha ascoltato e sostenuto le mie iniziative: sia la riforma del Consiglio generale degli italiani all’estero (poi affossata alla Camera), sia le due volte che ho chiesto di non partecipare al voto di fiducia al governo Monti, dandomi lo spazio di spiegarne in aula le ragioni. Quanto ai rapporti con i colleghi degli altri partiti, non capisco perché noi eletti all’estero dovremmo essere sempre tutti d’accordo e avere la stessa visione delle cose, quando in Italia ogni parlamentare risponde alla propria coscienza ed alle proprie sensibilità politiche: questo, credo sia un diritto anche per i parlamentari degli italiani all’estero.

La situazione dei rapporti tra la Svizzera e l’Italia si è fatta piuttosto delicata e molto discussa. Pensa che si vada verso un rasserenamento di questi rapporti?
Questo è un lavoro importante fatto con il collega Narducci. Per i frontalieri siamo intervenuti sulla legislazione italiana a cercare di sbloccare la quesione delle indennità di disoccupazione. Sulla politica dei trasporti abbiamo organizzato un importante convegno alla Camera per cercare di far capire che stiamo facendo arrivare la più grande opera ferroviaria d’Europa in un imbuto, dunque occorre sbloccare gli investimenti italiani sulle ferrovie. Ci ritorneremo sicuramente con il nuovo governo. Abbiamo organizzato un colloquio tra il Senato italiano ed il Consiglio degli Stati (il “senato” svizzero) sul problema dei capitali italiani nascosti in Svizzera, dove abiamo detto chiaramente al governo Berlusconi che non possiamo fare qualcosa che somigli a un condono: non possiamo rinunciare a tassare questi fondi che hanno evaso il fisco italiano. Come si vede, siamo stati attivi. Se poi la stampa lo ignora e preferisce parlare del bunga-bunga di Berlusconi…

E sulla questione della libera circolazione delle persone intendete intervenire?
Certamente. Per noi la libera circolazione è una cosa fondamentale, ma le misure di controllo contro il dumping salariale devono essere rafforzate nei Paesi dove vanno i nostri lavoratori o quando vengono. Perché il dumping salariale ce l’abbiamo anche noi in Italia: non ci sonosolo i frontalieri che vengono in Ticino, abbiamo anche quelli che vengono in Italia (non dalla Svizzera). Questo tema fa parte del nostro Dna; e in Parlamento lo affrontiamo come lo affrontavamo in Svizzera. Anche se devo dire che non è molto semplice in Italia far passare questi ragionamenti “europei”. E in effetti uno dei concetti che cerchiamo di far passare in questa campagna è che con i parlamentari eletti in Europa bisogna portare più Europa in Italia e non più Italia in Europa.

 

Intervista Guglielmo Bozzolini

 

Perché ha deciso di candidarsi?

Per due motivi. Primo, perché credo sia necessario dare un contributo al cambiamento in Italia. Molti sono tentati dal voto di protesta. È invece necessario cambiare. Quindi mi candido per dare una mano alla sinistra a riconquistarsi un ruolo nella vita politica italiana. Il secondo motivo è che in sette anni gli attuali parlamentari eletti all’estero hanno prodotto un’unica legge. Quindi è necessario cambiare anche il modo di fare politica tra gli italiani all’estero.

 

Gli italiani in Svizzera sono molto integrati. L’emigrazione italiana ha ancora dei problemi?

Negli ultimi sette anni sono immigrati dall’Italia in Europa circa 500 mila italiani: questo è il saldo attivo, cioè la differenza tra quelli che sono usciti e quelli che sono entrati. Quindi dall’Italia si emigra ancora: è una nuova emigrazione che ha problemi significativi molto forti, nonostante abbia buoni livelli di qualifca.

 

I problemi legati ai rapporti tra Svizzera e Italia vengono vissuti in modo diretto anche dall’emigrazione italiana in Svizzera. Come affrontarli?

In questo, i parlamentari degli italiani all’estero avrebbero potuto giocare un ruolo significativo. Ma così non è stato. Una priorità è quella dei collegamenti ferroviari Svizzera-Italia, la cui situazione attuale è scandalosa, ad esempio sulla linea Zurigo-Milano. Altra priorità è la libera circolazione della manodopera: una conquista che va difesa con l’applicazione rigorosa delle misure d’accompagnamento. Invece gli Stati europei, compresa l’Italia, fanno pressione sulla Svizzera contro tali misure. Chi è in politica e rappresenta l’emigrazione italiana deve intervenire a favore della libera circolazione, ma anche affinché le lavoratrici e i lavoratori italiani qui non siano sottoposti a rischi di dumping.

 

E quanto all’accordo fiscale tra Svizzera e Italia?

Sono contrario. L’accordo fiscale è la licenza di evadere, è la “penitenza” per colui che pecca di evasione. Non si deve sancire in nessun modo il diritto di evadere , ma che si deve invece pretendere dalla Svizzera lo scambio automatico dei dati e la partecipazione attiva al perseguimento dei reati fiscali che stanno distruggendo l’economia italiana. Resta aperta la questione del ristorno fiscale dei frontalieri, che bisogna risolvere.

 

C’è anche la difesa della lingua e cultura italiana.

Si pensa che i corsi di lingua e cultura siano una cosa superata, che appartengano al passato. Non è assolutamente vero: sono più attuali che mai. Primo, perché c’è una nuova, forte emigrazione anche in Svizzera, che si trasferisce all’estero con la famiglia e che vuole garantire ai propri figli il diritto all’apprendimento della lingua italiana e a non subire selezione e discriminazioni nei sistemi scolastici locali. Il secondo motivo è che le terze e quarte generazioni hanno la cittadinanza italiana e rischiano spesso di non avere gli strumenti linguistici e culturali necessari per mantenere un collegamento con l’Italia. In questo settore, io sono per la difesa del primato dello Stato e del sistema di gestione misto.

 

Le legge elettorale e il voto all’estero?

Questo è un problema esplosivo ogni volta che andiamo a votare. Cinque ani fa ci sono stati dei brogli enormi: nella circoscrizione consolare di Basilea ci sono state tra 15 e 20 mila schede truccate. E non è stato fatto niente per cambiare la legge elettorale. Adesso emerge il problema degli emigrati non iscritti all’Aire o degli studenti Erasmus, che vivono in Europa e non possono votare. Urgente: mettere mano alla legge elettorale, separando il diritto di voto all’estero dall’iscrizione all’Aire e prevedendo un registro degli elettori italiani all’estero nel quale le persone si debbano iscrivere, come fanno gli Usa ed altri Paesi. Penso che vada bene mantenere la circoscrizione estero, lasciando però alle persone la possibilità di decidere se votare nella propria regione in Italia o nella circoscrizione all’estero.



Pubblicato il 

07.02.13

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