La testimonianza

Delirio d’onnipotenza, controllo sistematico sui lavoratori trattati come oggetti di proprietà privata, orari di lavoro à la carte sulla base dei capricci dello stilista, telecamere puntate, contratti con clausole al limite della legalità, licenziamenti seriali. E poi le manie, gli scatti d’ira e quella notte crazy quando Philipp Plein ha portato il suo teami di Lugano a cena a Parigi con volo privato. Quasi 200 persone tenute tutta la notte in aeroporto e riaccompagnate al mattino dopo al lavoro ancora vestite da sera e senza che avessero chiuso occhio...

 

«Festa aziendale di Natale 2017. L’invito è presentarsi in dress code: alle donne è richiesto l’abito nero. Tutti i dipendenti della Philipp Plein International AG di Lugano, agghindati da capo a piedi come richiesto, sono ospiti del capo. Che cosa c’è in programma non lo sa nessuno. Partenza da Lugano con bus, arrivo allo scalo milanese per scoprire che si è in partenza con aereo privato: destinazione Parigi. In volo Plein ringrazia la squadra al completo per avere contribuito alle grandi vendite dell’anno. Si sbarca! Spettacolo al “Crazy Horse” e cena-crociera-festa sul bateau mouche. Bene. Ora, la stanchezza si fa sentire: quando si rientrerà? No, speriamo non sia prevista la notte fuori casa senza nulla per lavarsi e cambiarsi. È tardi, un po’ infreddoliti si torna in aeroporto, dai, almeno è previsto il rientro. No, macché, il velivolo non decolla. “Ragazzi, fra mezz’ora... Ancora mezz’ora...”. Plein è euforico, su di giri, gioca a calcio nella sala d’attesa con i suoi bracci destri, mentre gli altri crollano. Spunta l’alba, ecco, finalmente si parte, è quasi mattina, siamo ancora vestiti da sera, non abbiamo dormito: si potrà toccare il letto per qualche ora? “Io, tu, tu e tu, a casa a dormire. Voi, stronzi (è questo il messaggio), a Lugano a lavorare».


Incontriamo questa giovane donna, di cui conosciamo nome e cognome, perché vuole raccontare anche lei qualcosa su Philipp Plein, il suo ex datore di lavoro. Perché è stata licenziata un giorno che si era permessa di chiedere l’autorizzazione a terminare il turno dopo oltre 12 ore di presenza sul luogo di lavoro. Lo stilista tedesco non aveva gradito. «Quando è scoppiato il caso Plein io ero già via dall’azienda e con un nuovo posto di lavoro. All’inizio non volevo parlare, ma poi qualcosa dentro di me mi ha spinto a farmi avanti e dare la mia testimonianza. Parlo con grande paura, e vi prego di tutelarmi, ma lo faccio se posso essere d’aiuto per inquadrare la situazione che per molti miei ex colleghi continua a essere precaria e drammatica».


La donna ha scelto di raccontarci la trasferta in Francia come esempio significativo che rendesse l’idea della personalità di Philipp Plein: «Una personalità che si manifesta in una conduzione dittatoriale: tratta i dipendenti come fossero suoi schiavi, grande tensione e stress, controllo maniacale, regole e richieste assurde: dovevamo nascondere i portapenne dalle scrivanie perché li detesta e se ne vede uno fa saltare in aria tutto quello che si ritrova sul piano di lavoro. Pochi diritti, mentre occorre dimostrare flessibilità totale. Prendiamo la figura del designer: è come una valigia nelle sue mani. Stasera lui è a Cannes nella sua villa “La jungle du Roi”? Lo sono anche i creativi che curano le sue collezioni. Senza sapere per quanto tempo e quando e per dove si ripartirà. Lugano, Milano, New York? Non è dato sapere. Occorre essere pronti al suo via. Ovviamente non si può pianificare la propria vita privata perché si è considerati alla stregua di merce, sempre e in qualunque momento a disposizione».


Il racconto dell’ex dipendente parla della tensione del personale quando lo stilista era presente nella casa madre luganese: «L’orario di entrata era flessibile di una decina di minuti al mattino: ma se una persona sforava di un solo minuto veniva iscritta sulla black list e il prossimo ritardo, anche di un solo minuto, si sarebbe tramutato in un licenziamento in tronco. C’era gente che per paura di essere lasciata a piedi, arrivava anche con un’ora e mezza di anticipo al lavoro. Licenziamenti che, del resto, erano all’ordine del giorno: di solito avvenivano a grappoli l’ultimo venerdì del mese. La modalità sempre la stessa: convocazione da parte dell’assistente di Plein, comunicazione del licenziamento, invito a restituire seduta stante il proprio badge e invito ad allontanarsi immediatamente dagli uffici».


Ma è vero che si lavorava fino a notte fonda? «Sì, finché Plein non dava l’okay non si poteva mangiare, né staccare. Voleva stare in ufficio fino alle due del mattino? Anche i più stretti collaboratori erano obbligati a farlo senza poter recuperare le ore di straordinario». La donna ci porge il suo contratto di lavoro dove è scritto: «La retribuzione è intesa come indennità forfettaria, con il pagamento della quale vengono espressamente compensati anche tutti gli straordinari». L’ex dipendente non vuole che venga reso noto lo stipendio concordato perché un’altra clausola parla dell’obbligo di mantenere l’assoluto silenzio sulle paghe: possiamo dirvi che in busta paga si superavano di poco i tremila franchi netti al mese. Impossibile anche ammalarsi o recarsi dal medico: «Se c’era la necessità di una visita specialistica, occorreva prendere mezza giornata di libero da scalare dai 20 giorni di vacanze annuali. Le ore in più non venivano né pagate, né corrisposte in ferie, mentre una visita medica, che dovrebbe essere un diritto, veniva invece detratta».


Apriamo un altro capitolo: quello dei licenziamenti. «Perlopiù venivano effettuati a caso, sulla base dell’umore del momento. Questo continuo ricambio di personale creava dei problemi seri nell’organizzazione del lavoro. I senior licenziati non avevano il tempo di passare la conoscenza ai junior, che si ritrovavano non solo con un aumento della mole di lavoro per il posto improvvisamente non più ricoperto, ma anche con responsabilità non conformi alle loro posizioni».


Infine, i controlli. Eravate liberi di muovervi o vi sentivate controllati in maniera anomala?
«Il contratto specificava – leggo il passaggio testuale – che il datore di lavoro “si riserva espressamente di effettuare, o fare eseguire da specialisti informatici appositamente incaricati, i controlli che ritiene necessari sul tipo e la frequenza dell’utilizzo di email e internet fatto dai collaboratori e dalle collaboratrici”. La posta elettronica controllata all’occorrenza, mentre delle telecamere di videosorveglianza erano puntate sull’ascensore. Chi voleva uscire a fumare una sigaretta, doveva passare da lì ed era quindi un modo per evitare le pause, visto che sullo schermo nell’ufficio della sua assistente passavano in diretta tutto il giorno le immagini».


La nostra interlocutrice se ne va, dopo averci confidato: «La maggior parte del personale è costituito da frontalieri come me per poterli pagare meno. Questa è stata la mia prima esperienza professionale in Svizzera: per certi versi traumatizzante e dell’entità dei danni me ne sto accorgendo solo adesso, che vivo una situazione di normalità professionale. Era tutto davvero... crazy e duro da sopportare a livello psicologico».
Tutto il resto è noia come le 200 rose inviate con un gesto cafone da Plein al sindaco di Lugano Marco Borradori, dopo il blitz alle 23.30 da parte dell’Ispettorato del lavoro lo scorso mese di marzo a seguito di più segnalazioni. Si attende ora di sapere il risultato del controllo.

Pubblicato il 

30.05.18
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