SocialitĂ 

«Dopo tanti anni che vivo qui, per la prima volta non mi sento integrato. Sento di esser considerato, e trattato, come un cittadino di serie B». È l’amara constatazione a cui giunge un lettore di area dopo aver ricevuto a gennaio dal Cantone l’improvvisa lettera relativa all’assegno famigliare. «Da nostre informazioni, rileviamo che lei e la coniuge siete in possesso di un permesso B. (…) Pertanto a decorrere dal 1° gennaio 2016 non sussistono più i presupposti per poterle riconoscere il diritto all’assegno integrativo».


È solo una delle 400 famiglie vittime della modifica di legge sugli assegni integrativi e di prima infanzia inserita tra le pieghe del preventivo cantonale 2016 approvato dal Gran Consiglio il 16 dicembre scorso. Tra queste, un centinaio sono le famiglie monoparentali, secondo quanto comunicato ad area dai servizi cantonali competenti. Il dato si riferisce a quest’anno, ma le persone potenzialmente escluse dalla politica famigliare sono molte di più. Nel cantone risiedono 30.000 persone titolari di un permesso B, un terzo della popolazione straniera (circa 95.000 persone) residente nel cantone, che conta in totale 350.000 abitanti. Una concezione di politica familiare discriminante sulla provenienza e sul censo che era stata cancellata dal Tribunale federale e fatta rientrare dalla finestra dal governo col preventivo.


Un paio d’anni fa il Consiglio di Stato aveva parificato la politica famigliare all’assistenza sociale, escludendo così dalle misure di sostegno le famiglie d’origine straniera residenti nel cantone, ammonendole che sarebbe stato revocato loro il permesso di soggiorno al momento della richiesta.
Un’interpretazione illegale, stando alla sentenza dello scorso ottobre del Tribunale federale. «Gli assegni integrativi e di prima infanzia sono misure di sostegno della politica famigliare (…) Non sono un aiuto sociale. L'ammonimento, basato sull'assunto contrario, si rivela quindi infondato e deve essere annullato» si legge nella sentenza che aveva accolto il ricorso inoltrato dall’avvocato Rosemarie Weibel. Prontamente, il Dipartimento delle istituzioni annunciava l’immediata fine della pratica. Solo in quella forma, però.


Norman Gobbi e Paolo Beltraminelli, il consigliere di Stato Ppd a capo del Dipartimento sanità e socialità a cui competono gli assegni famigliari, non si sono scoraggiati, avendo in serbo un’altra carta. Sostenuti dal resto del governo, hanno modificato la legge per escludere i residenti titolari di un permesso di dimora B e quelli col C da meno di tre anni.


Lo stesso Paolo Beltraminelli aveva anticipato ad area questa intenzione: «A mio modo di vedere bisogna differenziare tra permessi C e B. In tutto e sugli assegni famigliari in particolare. Sono contro il turismo sociale, che esiste, e sono per regole chiare».


Le cifre smentiscono il turismo sociale in questo campo. Da oltre una decina d’anni il numero di beneficiari degli assegni familiari è stabile a 3.000 unità, mentre il Ticino conta 44.000 abitanti in più. Beltraminelli ammetteva che si trattava di una misura figlia del vento anti-stranieri che spira ormai da tempo in Ticino: «Non ci si deve nascondere dietro un dito – aveva detto il ministro ad area – È un’applicazione nei limiti degli accordi bilaterali di una politica più restrittiva nei confronti degli stranieri».


In altri termini, si potrebbe definirla figlia di una politica xenofoba, intesa come avversione generica a una popolazione presente all'interno di una società ma non considerata parte della stessa. Una misura anche classista e contro le donne, si potrebbe aggiungere, poiché a pagarne le conseguenze sono le persone a basso reddito (spesso da lavoro malpagato) e in gran parte donne che crescono da sole i propri figli. Quando si dice colpire i più deboli.


Escluso il tema degli abusi o del turismo sociale, l’unica funzione della misura è far “risparmiare” 1,6 milioni di franchi, stando alla cifra indicata nel messaggio governativo. Risparmi sulle spalle di 400 famiglie dal reddito basso (di cui un centinaio monoparentali).


La modifica di legge è stata accorpata al preventivo 2016, inserita nel voluminoso pacchetto votato dal Gran Consiglio il 16 dicembre scorso. Nella molta carne al fuoco nel dibattito parlamentare, alla modifica di legge è stata dedicata poca attenzione. La capogruppo Ps Pelin Kandemir aveva tentato di opporvisi, denunciando i “risparmi” fatti sull’anello debole della società. Anche l’anima sociale del Ppd si era fatta sentire per bocca del deputato Gianni Guidicelli. Ma la faccenda fu liquidata facilmente.


Esclusa la via politica, la modifica di legge potrebbe nuovamente essere annullata dai tribunali. Un ricorso è in via di preparazione.Il riconoscimento di un diritto con la discriminante del permesso è un concetto ignoto in ambito di sicurezza sociale in tutta la Svizzera. Esiste il concetto di lunga durata, per nulla equivalente alla tipologia di permesso.


I numerosi casi di cui dispone area dei destinatari della raccomandata dell’autorità cantonale in cui li si informa che i loro assegni sono stati soppressi senza preavviso, concernono persone, famiglie, da molti anni residenti nel cantone. Eppure hanno il permesso B. Dopo aver negato loro gli assegni famigliari, il Cantone li invita a rivolgersi all’assistenza sociale. Così poi gli manderanno l’ammonimento di revoca del permesso B. Il cerchio si chiude.

 

Quel dibattito che non c’è


L’avvocato Rosemarie Weibel, autrice del ricorso vincente al Tribunale federale, si esprime sulle modifiche di legge e le loro conseguenze

 

«Quel che mi spaventa è la discriminazione contro chi fa parte di questa società. Non che giustifichi la paura verso i nuovi arrivati, anzi, ma qui si fa un passo in più. Si escludono dalla politica famigliare persone che vivono tra di noi, che già contribuiscono e hanno contribuito alla società. Si attua una distinzione, una categorizzazione delle persone in base alla provenienza e il censo. Una politica di esclusione che si ripercuote sui bambini, colpevoli di essere figli di stranieri e dal basso reddito» commenta delusa l’avvocato Weibel.


Tre anni or sono fu la prima a denunciare pubblicamente la nuova politica famigliare discriminatoria del governo cantonale. Rimase una voce isolata nel deserto. Continuò il suo impegno sul piano giuridico. Furono il suo ricorso e quello del giurista Mario Amato del Soccorso Operaio svizzero a porre fine alla pratica discriminatoria del Cantone, ricorsi accolti favorevolmente dal Tribunale federale nell’ottobre del 2015.


Sconfessati sul piano giuridico, ora hanno riproposto la medesima impostazione infilandola nel voluminoso pacchetto del preventivo, approvato dal Gran Consiglio sul finire dell’anno, 10 giorni prima di Natale. Salvo le posizioni fortemente critiche della capogruppo socialista Pelin Kandemir, su tali misure il dibattito è stato praticamente assente. Un Gran Consiglio ben diverso da quello che venti anni or sono approvò con 89 voti su 90 l’universalità della legge sugli assegni integrativi.


«Mi preoccupa l’indifferenza, l’assenza di sensibilità sociale e politica nei confronti di questo tema. Negando il diritto all’universalità dei diritti nella politica di sicurezza sociale, si finisce col distruggere quest’ultima». Così facendo, si fanno molti passi indietro, cancellando decenni di progressi sociali. «Un tempo, quando in Ticino l’assistenza comunale era a carico dei comuni, accadeva che i beneficiari sgraditi venivano caricati su un carretto e trasportati fuori dai confini comunali per sbarazzarsene. Vogliamo davvero tornare a quei tempi?» conclude amareggiata l’avvocato Weibel.

Pubblicato il 

04.02.16