Bruciante sconfitta per Erdogan

Ekrem Imamoglu è il nuovo sindaco di Istanbul. Il candidato delle opposizioni, sostenuto dal partito Repubblicano (Chp), dal partito Buono (Iyi) e con l’appoggio esterno della sinistra filo-curda del partito democratico dei Popoli (Hdp) ha superato con il 54% dei voti il candidato del partito Giustizia e Sviluppo (Akp) del presidente Recep Tayyip Erdogan, Binali Yildirim, tra i fondatori di Akp ed ex premier. La vittoria per 13mila voti dello scorso 31 marzo, contestata dai sostenitori di Yildirim a tal punto da spingere la Commissione elettorale ad annullare il voto per “irregolarità”, si è moltiplicata in poche settimane raggiungendo un divario dallo sfidante di ben 775mila voti.


La seconda campagna elettorale è stata segnata da attacchi senza precedenti contro Imamoglu, 49 anni, con la pubblicazione di documenti falsi sul presunto sostegno accordatogli dallo sheikh Fetullah Gulen e dal partito dei lavoratori del Kurdistan (Pkk). Alla vigilia del voto, Imamoglu ha puntato tutto sugli sprechi della municipalità di Istanbul. «Abbiamo sete di democrazia e giustizia. È il momento di alzare la voce senza paura», ha commentato Imamoglu al momento della vittoria. «Qualcuno vuole che il popolo continui a litigare, io voglio che la gente si abbracci. Inizierà l’era della meritocrazia», ha aggiunto. Si tratta di un «nuovo inizio», «una nuova pagina di uguaglianza e amore», ha concluso Imamoglu.


Si chiudono così 25 anni di governo di Istanbul da parte di Akp: «Chiunque conquisti Istanbul conquista la Turchia», aveva detto Erdogan alla vigilia del voto. E si apre una stagione in salita per il presidente turco, dopo i successi elettorali che hanno accresciuto i suoi poteri nel 2017 e nel 2018, le purghe tra giudici, poliziotti e insegnanti, seguenti al fallito golpe del 15 luglio 2016, e la repressione dei movimenti curdi dopo l’ingresso in parlamento del partito filo-curdo Hdp nel 2015. Alle amministrative di marzo 2019, Akp aveva già perso gli importanti comuni di Ankara e Antalya, ma con la sconfitta di Istanbul ha ceduto la città che rappresenta da sola quasi un terzo del Pil turco. Non solo, la crisi economica e valutaria non accenna a diminuire con un’inflazione superiore al 10%.


Più in generale l’esperimento dell’islamismo politico sta attraversando una delle fasi più buie della sua storia recente dopo la morte in carcere in circostanze da chiarire dell’ex presidente egiziano Mohammed Morsi, che annoverava tra i suoi principali sostenitori proprio Erdogan e l’emiro del Qatar, Tamim al-Thani. Seguendo il modello egiziano, i militari diventano più forti nell’intera regione: è il caso del Sudan dove si contano oltre cento morti e almeno 70 casi di stupro contro i manifestanti nella repressione voluta dal generale Mohamed Dagalo per ottenere la presidenza della Repubblica dopo la deposizione lo scorso aprile dell’ex presidente Omar al-Bashir; e la cancellazione a data da destinarsi delle elezioni presidenziali previste a luglio in Algeria in seguito alle dimissioni dell’ex presidente, malato da tempo, Abdelaziz Bouteflika.


Infine, la Turchia di Erdogan ha dato non poche preoccupazioni anche agli Stati Uniti. L’alleato della Nato è sembrato su posizioni troppo vicine a Russia e Iran proprio mentre lo scontro tra Teheran e Washington è alle stelle in seguito alle esplosioni che hanno colpito due petroliere nel Golfo dell’Oman e all’abbattimento del drone RQ-A4 Global Hawk quando ormai l’accordo di Vienna sul nucleare è diventato carta straccia.

Pubblicato il

26.06.2019 17:40
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