“Buoni amici” di cui diffidare

Usare le imposte pagate dai cittadini per garantire profitti ai padroni di scuole e cliniche private, rendere sempre più dipendente dal reddito l'accesso al servizio pubblico e indebolire ulteriormente i diritti dei lavoratori impiegati in questo settore. Sono gli “ingredienti” di una nuova ennesima offensiva neoliberale che, in gran segreto e al di fuori di ogni confronto democratico, si sta consumando a Ginevra nei negoziati per un Accordo sul commercio dei servizi nel quadro dell’Organizzazione mondiale del commercio.

Negoziati in corso dal 2012 e che coinvolgono ben 27 Stati (Unione europea e Svizzera comprese) cinicamente autoproclamatisi “veri buoni amici”. Del servizio pubblico, vogliono farci intendere. In realtà i loro “amici” sono i privati interessati a mettere le mani in settori economicamente redditizi, come la sanità e l’educazione, che a livello mondiale ancora sottostanno prevalentemente al controllo degli enti pubblici.


L’accordo, meglio conosciuto (si fa per dire) con l’acronimo inglese Tisa (Trade in Services Agreement), mira ad un’apertura totale al mercato, cioè alla libera concorrenza. In altre parole vuole spalancare le porte alla privatizzazione dei servizi pubblici. Come altre intese di questo tipo, anche Tisa prevede misure vincolanti che limitano l’autonomia e il potere di controllo degli Stati e, soprattutto, dei cittadini. Si pensi alla prevista istituzione di tribunali speciali che opererebbero al di fuori del diritto degli Stati firmatari o all’«obbligo di neutralità» dei governi nei confronti di tutti i fornitori di servizi che li costringerebbe a finanziare scuole e cliniche private nella stessa misura delle strutture pubbliche.


Siamo insomma di fronte al tentativo di cancellare un’importante conquista sociale e di rimettere così in causa alcuni fondamenti della nostra società, come le pari opportunità per tutti nell’accesso ai servizi e il controllo democratico su un ambito da cui dipende la qualità di vita delle persone. Il tutto nell’interesse esclusivo del profitto di soggetti privati, a cui fa gola l’idea di mettere le mani in un settore economico dal grande potenziale (in Svizzera sanità e scuola, con 110 miliardi di franchi, fanno più del 20 per cento del Pil).


Ma l’aspetto ancora più scandaloso è che i negoziatori dell’accordo (come è ormai consuetudine nei processi di liberalizzazione) agiscono senza alcuna legittimità democratica e nel riserbo assoluto: lo stesso Consiglio federale recentemente chiamato a rispondere ad un’interpellanza, non fornisce alcun dettaglio sulle trattative che la Segreteria di Stato dell’Economia (Seco) sta conducendo a Ginevra.


In gioco vi è la qualità di vita e di lavoro di ampi strati della popolazione, ma a contare sono gli interessi di pochi. Dei soliti.

Pubblicato il

18.06.2014 14:58
Claudio Carrer
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