Economie nella trappola dei prezzi

Un fatto di attualità nazionale porta a un commento che è generale. I lavoratori dell’edilizia chiedono più salario e rispetto del lavoro (servizio a pagina 14). La rivendicazione è logica e giusta: l’edilizia è cresciuta fortemente, anche in produttività; gli imprenditori hanno fatto soldi (avendo pure costi di credito minimi); i lavoratori non ne hanno beneficiato, sono stati piuttosto spremuti per guadagnare ancora di più in produttività (più produzione con minor tempo di lavoro), minori costi e più profitti.


Nell’economia in generale è emersa negli ultimi tempi una preoccupazione singolare: i prezzi non aumentano, rimangono atoni. Non c’è inflazione. Una preoccupazione strana. L’inflazione è sempre stata ritenuta pericolosa. Alle Banche centrali è fatto obbligo di tenerla a bada. Anche se ambivalente: se aumentano i prezzi scontenta ognuno di noi perché diminuisce il potere d’acquisto; se cresce accontenta i debitori perché svaluta il debito. Perché l’inflazione diventa importante?
Si sostiene che è ritornata la crescita economica. Una ripresa senza inflazione è però un “mistero”: una ripresa muove tutto, muove anche i prezzi (maggior domanda, aumento dei prezzi). Sarà  quindi vera ripresa?


La Banca centrale europea pubblica uno studio che ci dice come l’inflazione si muove nella zona euro. Nella misura del 30 per cento è dovuta alle fluttuazioni della materie prime (petrolio, prodotti industria alimentare ecc.), di un altro 30 per cento ai prezzi del commercio internazionale (beni intermediari) e per un 40 per cento solo a fattori interni alle economie. È su quest’ultima percentuale che si concentra l’attenzione. Perché riguarda il mercato del lavoro (e gli edili).
Quando un’economia riparte crea richiesta di lavoro e la disoccupazione tende a diminuire: si rafforza quindi il potere negoziale dei salariati che si traduce, generalmente, in un aumento delle remunerazioni, che esercitano pressione sui prezzi. L’inflazione, quindi, appare ed è anche un buon segno. Non è solo teoria economica, è realtà tradotta in grafici che mostrano questo automatismo. Ora, tutto questo non si produce: sarà vera ripresa?


Quando la disoccupazione diminuisce non vuol ancora dire che il mercato del lavoro stia bene. Tanto è vero che le banche centrali europee nelle loro analisi vanno oltre il tasso di disoccupazione. Si interessano maggiormente di quella parte di popolazione attiva che non si trova nella situazione che auspicherebbe (occupazione a tempo parziale subita, contratti di alcune ore ecc.). È un’“armata di riserva” che ha raggiunto percentuali alte. È la flessibilizzazione del mercato del lavoro (auspicata dal Consiglio federale) grazie alla quale le imprese aggiustano più facilmente la loro situazione di costi, d’impiego e di salario. Imperversa nel settore dei servizi, tra personale meno qualificato, meno sindacalizzato.


La spiegazione completa viene però dal Fondo monetario internazionale in una analisi una volta tanto coraggiosa. C’è stato in realtà un continuo degrado delle condizioni di lavoro e del diritto del lavoro che ha sfavorito i salariati e ha impedito l’aumento dei redditi da salario. Con lo scopo di contenere i costi e aumentare profitti e dividendi. Siamo così finiti in un circolo vizioso: le economie sono nella “trappola dei prezzi”. Con conseguenze disastrose: non si facilita il riassorbimento dei debiti, si sviliscono le entrate dei bilanci pubblici, si bloccano o si procrastinano le prestazioni sociali la cui progressione è basata sui salari, si mette in forse la domanda (stagnazione).


Nessuno si augura di ritornare ai tassi di inflazione del 10-15 per cento degli anni ’80. Si scopre, tuttavia, che l’assenza di inflazione è il  chiaro segno che il capitalismo attuale rafforza il potere degli azionisti e dei creditori a detrimento di quello dei salariati. È un problema di giustizia distributiva. Che risulta vitale anche per il funzionamento dell’economia e per la coesione sociale.

Pubblicato il

26.10.2017 14:21
Silvano Toppi
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