Eternit Giustizia: non siano solo due semplici parole

L’avvio a Novara di un nuovo processo per omicidio intenzionale contro Stephan Schmidheiny riaccende la speranza delle vittime: Guai ad arrendersi al crimine d’impresa

Si è aperto a Novara il 9 giugno scorso il nuovo processo per i morti dell’Eternit contro l’ex patron e miliardario svizzero Stephan Schmidheiny, accusato di omicidio volontario. Un’accusa in relazione alla morte per mesotelioma (il tipico cancro da amianto che colpisce soprattutto la pleura e più raramente il peritoneo) di 392 persone, 62 lavoratori e 330 semplici cittadini, del Monferrato Casalese, vittime delle polveri di amianto disperse negli ambienti di lavoro e di vita dallo stabilimento di Casale Monferrato. Si tratta di una tappa cruciale della lunghissima ed estenuante rincorsa di una qualche forma di giustizia per le vittime. Il nostro reportage da Novara, con interviste e testimonianze.

 

Mercoledì 9 giugno 2021, aula magna dell’Università del Piemonte Orientale di Novara. Sono il giorno e il luogo che segnano una (nuova) tappa cruciale della lunghissima ed estenuante rincorsa di una qualche forma di giustizia che vede protagoniste le vittime dell’amianto, con in prima fila quelle dell’Eternit di Casale Monferrato, la cittadina in provincia di Alessandria dove si è consumata e si sta consumando una vera e propria strage. Qui oggi si celebra infatti la prima udienza del filone più importante del cosiddetto processo Eternit bis, che vede il miliardario svizzero Stephan Schmidheiny imputato davanti a quattro tribunali italiani per i morti causati dalle sue fabbriche di cemento-amianto in Italia, che lui, come massimo dirigente della multinazionale, controllava pienamente tra la metà degli anni Settanta e la metà degli Ottanta. Qui a Novara deve rispondere dell’accusa di omicidio volontario.

 

Un’accusa in relazione alla morte per mesotelioma (il tipico cancro da amianto che colpisce soprattutto la pleura e più raramente il peritoneo) di 392 persone, 62 lavoratori e 330 semplici cittadini, del Monferrato Casalese, vittime delle polveri di amianto disperse negli ambienti di lavoro e di vita dallo stabilimento cittadino (il più grande d’Italia), che la dirigenza svizzera chiuse nel 1986 su auto-istanza di fallimento e abbandonò con tonnellate di amianto esposto ai quattro venti. Veleno puro per un intero territorio: già circa 3.000 morti ammazzati dalla polvere killer e ancora oggi, a 35 anni dalla chiusura della fabbrica, un nuovo decesso e un nuovo condannato a morte ogni settimana. Proprio nelle medesime ore dell’udienza di Novara la stampa locale dà notizia del decesso a Giarole di un’ennesima vittima dell’Eternit: si chiamava Carla Provera, una vita professionale nel settore scolastico, aveva appena 60 anni.

 

Questo processo, nato dallo “spacchettamento” dell’Eternit bis in quattro tronconi (vedi l’infografica sulle tappe giudiziarie) deciso dai giudici di Torino e confermato dalla Cassazione nel 2017, per le sue dimensioni, ricorda un po’ il primo grande maxi-processo celebrato a Torino tra il 2009 e il 2013, un unicum nella storia giudiziaria al mondo, con 3.000 persone offese, 6.300 parti civili e oltre una sessantina di udienze. E un processo che sì ha portato alla condanna di Schmidheiny a 16 anni di carcere (poi aumentati a 18 in Appello) per disastro ambientale doloso, ma dal quale lo svizzero si è salvato grazie alla prescrizione, dichiarata da una discussa decisione della Corte di Cassazione del 2014.


Un momento certamente traumatico per le vittime e una battuta d’arresto per la Giustizia, ma a cui è seguita una nuova iniziativa giudiziaria da parte della Procura di Torino, in particolare dell’allora sostituto Procuratore Raffaele Guariniello (ora in pensione) e dei suoi colleghi del pool specializzato nella criminalità d’impresa, che ha dato avvio all’Eternit bis, di cui ora a Novara va in scena il capitolo più atteso e più complesso.

 

L’aspettativa è quella di sempre e sta scritta sulle bandiere tricolore e sugli adesivi gialli che questa mattina ricompaiono davanti a un tribunale: “Eternit Giustizia”, due semplici parole in cui tornare a credere. A portarle sono le donne e gli uomini di Casale Monferrato venuti fino a qui con il pullman organizzato dall’Afeva, l’Associazione dei familiari e delle vittime dell’amianto: ad accoglierli ci sono i legali di parte civile e numerosi giornalisti dei media locali, nazionali e internazionali, oltre che polizia e carabinieri a coordinare l’afflusso di pubblico straordinario. «Abbiamo il dovere di essere presenti nonostante i tanti pugni presi nello stomaco. Non avremo giustizia fino a quando una sentenza non dirà che queste cose non si dovevano fare e non si dovranno più fare», spiega Bruno Pesce, rappresentante dell’Afeva e leader storico delle battaglie sindacali, politiche e sociali contro l’Eternit a Casale sin dalla fine degli anni Settanta. Tra i familiari delle vittime c’è una consapevolezza diffusa che sarà una battaglia lunga e difficile, ma la speranza nella giustizia non è svanita e questo processo di Novara rappresenta un nuovo inizio.


A giudicare Stephan Schmidheiny è una Corte d’Assise, presieduta dal giudice Gianfranco Pezone, affiancato dalla collega togata Manuela Massimo e da un collegio di sei giudici popolari. L’accusa è invece sostenuta dal procuratore di Torino Gianfranco Colace (che affiancava Guariniello nel primo processo) e da Mariagiovanna Compare, sostituta procuratrice di Vercelli (il circondario giudiziario in cui ricade Casale, ma che non avendo la Corte d’Assise perde la competenza in favore di Novara). L’imputato è invece difeso dai suoi due legali storici Guido Carlo Alleva e Astolfo Di Amato.

 

Per ora a porte chiuse
E le udienze, che saranno verosimilmente decine, si tengono nell’imponente aula magna del campus universitario, che «si è cercato di rendere il più adatta possibile alle nostre esigenze», spiega il Presidente della Corte aprendo il processo. Fatto l’appello delle decine di legali presenti e constatato che Schmidheiny è assente («ovviamente», si lascia sfuggire Pezone), la prima parte dell’udienza è dedicata alla definizione delle modalità del processo, in particolare per quanto riguarda le riprese televisive e la presenza di pubblico e giornalisti. A causa dell’emergenza sanitaria ancora in atto, si svolgerà (fino a nuovo avviso) a porte chiuse, ha deciso la Corte nella sua prima lunga ordinanza: sebbene «la situazione sia in via di miglioramento» per «effetto della campagna vaccinale» si rendono ancora necessarie delle precauzioni anche perché, fra l’altro, «nessun vaccino è efficace al 100%», si afferma sottolineando l’alto numero di persone che devono essere presenti tra magistrati, avvocati e forze dell’ordine. «Naturalmente – ha detto il presidente al termine della lettura dell’ordinanza – ci auguriamo che le cose migliorino con il tempo». Vista la «rilevanza pubblica» del processo Eternit «può essere consentita la presenza in aula di giornalisti in misura non superiore a 15 unità», ha anche stabilito la Corte disponendo nel contempo la chiusura al pubblico.
Il 5 luglio è prevista la prossima udienza, che sarà dedicata all’esame delle prime contestazioni sollevate dalla difesa, in particolare per quanto riguarda l’ammissione di enti e associazioni come parti civili.

 

 

Intervista a Bruno Pesce

Guai ad arrendersi al crimine d’impresa

 

Cosa significa Giustizia? Quanto è doloroso vedersela negare? Come si può ritrovare la speranza di ottenerla? Al termine della prima udienza abbiamo girato questi interrogativi a Bruno Pesce, leader storico della battaglia all’amianto e che ha sempre seguito il fronte di lotta per la giustizia, oltre che per bonifica e ricerca sanitaria su cui sono stati raggiunti risultati molto importanti. Era l’autunno 2009 quando lo incontrammo la prima volta nella sede dell’Afeva di Casale Monferrato: era la vigilia dell’inizio del primo grande processo di Torino. Sono trascorsi ormai 12 anni e nel frattempo le polveri dell’Eternit hanno ucciso almeno altri 600 casalesi, al ritmo di almeno uno alla settimana. Sul fronte della giustizia invece di risultati ancora non se ne sono visti e ciò ha inevitabilmente intaccato la fiducia delle persone.


«Dopo il processo di primo grado e la condanna di Schmidheiny a 16 anni, poi aumentati in Appello a 18, per disastro ambientale permanente – afferma Pesce – la giustizia stava trionfando. Si era raggiunto l’apice dopo una lunghissima battaglia e un’eccezionale inchiesta svolta dalla Procura di Torino. Ma la decisione del 2014 della Cassazione ha rappresentato un colpo micidiale alla credibilità della giustizia ed ha creato rabbia, amarezza e frustrazione tra le vittime e i loro familiari. Come è possibile che dopo così tanti anni (un primo processo contro i dirigenti locali dell’Eternit, poi finito in nulla a causa della prescrizione, si celebrò già nel 1993!) si dichiari la prescrizione e che nel frattempo non ci si sia stato alcun intervento sul piano legislativo per evitare di arrivare a questo punto? Questo significa umiliare la giustizia e umiliare le vittime. Di fronte ad un simile disastro con migliaia e migliaia di vittime, nessun cittadino di buon senso può capire questa mancata affermazione della giustizia. Gli ultimi sono stati anni difficili: pur sapendo che la Procura di Torino si è subito mossa per avviare un nuovo processo per omicidio volontario, abbiamo assistito a un’ulteriore accentuazione dello squilibrio tra le garanzie per l’imputato e l’affermazione della giustizia per le vittime. Per arrivare a questo processo sono infatti stati necessari ulteriori lunghi passaggi giudiziari che hanno fatto perdere ulteriori 7 anni. Ancora una volta a favore dell’imputato, nonostante le sue responsabilità siano acclarate. Perché più gli anni passano più ha probabilità di venirne fuori come se niente fosse».


Ora siamo però di fronte a una tappa certa: un processo per omicidio intenzionale. Si teme di rivedere un film già visto?
Con questo capo d’accusa c’è la speranza di poter portare a termine un processo e di giungere a una condanna di Schmidheiny. Non tanto per la soddisfazione di vederlo patire anni e anni di carcere, ma per avere finalmente una sentenza che stabilisca che questa tragedia enorme andava evitata e che non si dovrà ripetere mai più. Serve una sentenza che sanzioni questo comportamento, che era quello di utilizzare l’amianto pur sapendo non solo che era cancerogeno ma anche che aveva provocato e stava provocando migliaia di malati e di morti. Finché una cosa del genere non è sanzionata, non ci sarà mai giustizia per le vittime. Una condanna significativa, esemplare, un po’ proporzionata all’enormità della tragedia segnerebbe una svolta. Sappiamo che si tratta di sfondare un muro di “cemento-amianto” armato in processi come questi che hanno per oggetto dei crimini d’impresa compiuti da imputati eccellenti. Non solo in Italia ma in tutto il mondo. Siamo consapevoli che è una battaglia difficile, ma si deve inaugurare una fase nuova. La nostra è una lotta che non può e non deve essere abbandonata, perché vorrebbe dire arrendersi ad azioni criminali.

Pubblicato il

24.06.2021 18:50
Claudio Carrer

«A Schmidheiny vorrei chiedere: Perché non ha risarcito?»

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