L'editoriale

Fino a quando la Svizzera potrà permettersi la sua proverbiale “prudenza” nell’affrontare la nuova ondata pandemica che come un ciclone sta investendo l’Europa e inducendo i governi dei paesi vicini ad adottare nuove drastiche misure per cercare di contenere il dilagare di nuove infezioni? Non per molto se vogliamo evitare un nuovo inverno da incubo per gli ospedali, per l’economia e per l’intera società.

In tutto il continente il quadro epidemiologico è in continuo peggioramento, in termini di infezioni, di ricoveri e di decessi, da ormai un paio di mesi: la situazione è considerata dall’Oms «molto preoccupante» in una decina di paesi. E in diversi hanno già introdotto (e altri lo stanno per fare) pesanti restrizioni di varia natura: il confinamento dei non vaccinati (possibilità di uscire di casa solo per attività essenziali come fare la spesa o andare dal medico) è già realtà in Austria, in diversi Länder tedeschi l’accesso a bar e ristoranti è consentito solo agli immunizzati e in Italia si sta discutendo una soluzione simile, la Francia ha chiuso le frontiere ai no-vax mentre l’Olanda è già in lockdown: chiusura alle 20 di bar e ristoranti, alle 18 dei negozi non essenziali ed eventi sportivi a porte chiuse.


E in Svizzera? In Svizzera continuiamo ad andare per bar e ristoranti, al cinema e a teatro, in discoteca e in palestra, riempiamo gli stadi, manifestiamo nelle piazze. Praticamente senza restrizioni. Ma ci permettiamo il lusso di disquisire sulla legittimità del Certificato Covid, cioè sullo strumento che attesta l’avvenuta vaccinazione, la guarigione o la negatività al test e che ci consente di svolgere tutte quelle attività.
Una minoranza molto rumorosa (abilmente strumentalizzata da una destra irresponsabile) lo considera un attentato alle libertà individuali, uno strumento di coercizione e discriminatorio, una minaccia insomma. Da contrastare nelle piazze, con la disubbidienza civile e nelle urne il prossimo 28 novembre con la bocciatura della cosiddetta Legge Covid-19, che è la base legale del Certificato Covid e di altri provvedimenti che il Consiglio federale può adottare per fronteggiare la pandemia ed erogare aiuti economici. Una legge che, stando ai sondaggi, continua a godere di un ampio consenso nella popolazione (attorno al 60 per cento) nonostante la campagna martellante dei referendisti e la loro massiccia presenza in strada e nei media e nonostante la poca visibilità dei favorevoli, che di fatto hanno lasciato l’onere di difendere la legge al solo consigliere federale Berset.


La maggioranza dei cittadini evidentemente riconosce l’utilità e la necessità del Certificato Covid ed essendo capace di guardarsi intorno capisce bene che è il minore dei mali in questa situazione. Ma ancora una volta, la seconda nel giro di sei mesi, sarà la votazione del 28 novembre a dire l’ultima parola. Questo è quello che consente la democrazia svizzera (altro che dittatura sanitaria!) ed è un bene che sia così. È però evidente che l’imminenza di una votazione, pur delicata che sia, non può ritardare l’introduzione di misure che sarebbero necessarie a evitare che la situazione precipiti: siamo ormai a 6.000 nuove infezioni e a poco meno di un centinaio di nuovi ricoveri al giorno; e in alcuni cantoni i posti in terapia intensiva cominciano a scarseggiare. È una tendenza non molto diversa da quella che si constata in altri paesi ed è purtroppo evidente che ci vorranno a breve dei sacrifici supplementari per superare l’inverno indenni.


L’alta percentuale di non vaccinati (più del 30 per cento della popolazione globale, circa 800.000 persone) non aiuta. E l’immobilismo e l’attendismo del Consiglio federale ancora meno. Se, come si continua a ripetere, non si vogliono adottare misure drastiche quali il confinamento dei non vaccinati sul modello austriaco, bisogna essere consapevoli che attendere non è un’alternativa valida: il rischio è quello di chiusure totali tra qualche tempo. Esattamente come è capitato un anno fa.
Oggi, a differenza di allora, disponiamo però di un vaccino, l’arma più efficace contro il coronavirus. E allora è su questo che si deve puntare. Dopo il fallimento delle campagne sin qui condotte servono, oltre alla terza dose di vaccino (in ritardo pure questa rispetto ad altri
paesi), nuove iniziative per cercare di convincere i molti scettici che non si fanno vaccinare solo per paura. Test sierologici gratuiti perché ciascuno possa verificare se ha sviluppato o meno degli anticorpi, suggerisce per esempio l’infettivologo ginevrino Alessandro Diana: «È un mezzo d’informazione efficace. La persona indecisa ottiene un’immagine della sua immunità e resa consapevole che se non è immune un giorno o l’altro sarà confrontata con la malattia», spiega. L’esperienza dice che questa consapevolezza convincerebbe molte persone a farsi vaccinare. Ma l’idea non ha sin qui ottenuto il benché minimo ascolto nella “prudente” Berna federale.


Ci informano che la Svizzera «è nel pieno della quinta ondata pandemica» e che i numeri stanno salendo rapidamente ma che per il momento si può continuare a stare a guardare.

Pubblicato il 

18.11.21
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