Governo sordo e immobile

Da un lato una situazione sanitaria sempre più preoccupante, lavoratrici e lavoratori che operano sui fronti più caldi esausti e delusi, interi rami economici (si pensi alla ristorazione o alla cultura) prossimi al collasso e i cittadini viepiù preoccupati, disorientati e insofferenti. Dall’altro lato le autorità politiche che, tenute ben strette al guinzaglio dal potere economico, navigano a vista, con confusione, improvvisazione e ritardo. È così che la Svizzera sta affrontando la seconda violentissima e inattesa (complici queste medesime ragioni) ondata di contagi da coronavirus, con cui dovremo fare i conti ancora a lungo. Almeno fino all’altro capo dell’inverno.

Il Consiglio federale sta dando prova di immobilismo su tutti i fronti. Su quello dell’emergenza sanitaria innanzitutto: da settimane ormai, gli esperti della Confederazione forniscono dati che peggiorano quotidianamente e informazioni sempre più inquietanti, in particolare per quanto riguarda la situazione degli ospedali, con i reparti di cure intensive attualmente occupati per quasi il 50 per cento da pazienti Covid e dove tra pochi giorni in alcuni cantoni potrebbero mancare posti. Ma all’analisi della situazione non seguono mai le decisioni che si imporrebbero per contenere la diffusione del virus: Berna persevera con misure blande, limitandosi a mettere a disposizione l’esercito, invitando gli ospedali di tutta la Svizzera a rinunciare  ai ricoveri e agli interventi non elettivi per tenere posti liberi e demandando ogni responsabilità ai Cantoni; Cantoni che a loro volta attendono che le loro strutture ospedaliere siano con l’acqua alla gola prima di decretare quei lockdown parziali che in questi giorni si stanno imponendo come per effetto domino nella Svizzera occidentale. E anche di fronte alla crisi economica mancano le risposte necessarie, che dovrebbero puntare alla salvaguardia del potere d’acquisto dei salariati (per esempio garantendo il salario pieno a chi è in lavoro ridotto), a una più equa ridistribuzione della ricchezza attraverso una fiscalità che vada a prendere i soldi a chi ne ha tanti, così come alla salvaguardia dei posti di lavoro attraverso sostanziosi aiuti, anche a fondo perso, in favore delle categorie maggiormente esposte e sinistrate.
E che dire del trattamento riservato al personale impiegato nel settore delle cure, protagonista settimana scorsa di una mobilitazione nazionale? Dopo gli applausi di primavera, nessun riconoscimento, nessun aumento salariale, nessun premio per gli forzi profusi e le sofferenze patite nella vita privata come in quella professionale. Anzi, i ritmi di lavoro, a causa della carenza di personale dettata dalle politiche risparmistiche, sono aumentati anche durante l’estate. E ora il personale già è chiamato a nuovi sforzi (stra)ordinari: sempre più infermiere e infermieri, pur trovandosi in quarantena, vengono richiamati al lavoro. Le richieste di dispensa dalla quarantena sono in aumento e non solo nel settore delle cure, ha lasciato intendere martedì il presidente dei medici cantonali (che sono competenti per il rilascio delle autorizzazioni), precisando che l’autorizzazione comporta il rispetto di «rigide misure di protezione» e che «vale solo per il lavoro e non per la vita privata». In altre parole: durante la quarantena possono lavorare 10 o 12 ore al giorno in mezzo ai malati, ma nel tempo libero non possono uscire di casa nemmeno per un caffè.
È un’attitudine che la dice lunga sulla considerazione di cui godono il personale curante, gli impiegati di altri settori “essenziali” che mai si sono fermati e tutte le lavoratrici e tutti i lavoratori di questo paese in generale. La tutela dei loro diritti e della loro salute passa sempre in secondo piano, sia per i loro padroni sia per il decisore politico. E così a pagare il prezzo più alto per la crisi del Coronavirus sono sempre gli stessi.

Pubblicato il

05.11.2020 19:11
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