La Suva sia più umana

Nel 2003 un ex operaio della Eternit di Payerne muore per un cancro broncopolmonare, dopo aver lavorato in quella fabbrica per 27 anni e aver trascorso molto tempo lavorativo in uno dei reparti con le più alte concentrazioni di polveri d'amianto. A quasi dieci anni dal suo decesso, la vedova e i suoi figli stanno ancora lottando in sede giudiziaria per ottenere il riconoscimento dell'origine professionale della malattia e le relative prestazioni assicurative. Prestazioni che l'assicuratore (la Suva, l'istituto nazionale di assicurazione contro gli infortuni) si rifiuta di erogare facendo valere il fatto che l'uomo era anche un accanito fumatore e dunque il tumore sarebbe stato provocato dalle sigarette e non dalle fibre di amianto inalate in fabbrica.
Indipendentemente da come andrà a finire questa storia triste (attualmente all'esame del Tribunale cantonale vodese, cfr. pagina 3), sorge spontaneo un interrogativo: è davvero necessario costringere le vittime dell'amianto e i loro familiari a interminabili calvari giudiziari per far valere quei pochi diritti che la legge elvetica riconosce loro?
È una domanda che va girata in particolare alla Suva, che notoriamente segue una prassi assai restrittiva quando è chiamata a riconoscere il diritto a prestazioni per le vittime dell'amianto e che, in generale, è piuttosto passiva e poco collaborativa quando si tratta di dare un contributo a chiarire le condizioni in cui si è consumata questa tragedia nelle fabbriche svizzere. Basti pensare che la giustizia italiana che indaga sull'attività dell'Eternit ha dovuto attendere tre anni e una sentenza del Tribunale federale solo per ottenere i nominativi dei lavoratori italiani che avevano lavorato negli stabilimenti svizzeri della multinazionale, perché la Suva si opponeva con ogni mezzo alla loro trasmissione.
Certo, la Suva è un'assicurazione e in un certo senso è logico che cerchi di pagare meno prestazioni possibili applicando criteri rigidi nel riconoscimento delle malattie professionali, ma d'altro canto è anche un ente di diritto pubblico dal quale si può pretendere una maggiore assunzione di responsabilità di fronte a una tragedia come quella dell'amianto. Una tragedia oltretutto consumatasi sotto gli occhi della stessa Suva, che oggi non può non riconoscere che in passato, per esempio sul fronte della prevenzione, della vigilanza sulle condizioni di lavoro e della politica d'informazione ai lavoratori qualcosa non ha funzionato (tanto per usare un eufemismo).
Non si possono naturalmente addossare tutte le colpe alla Suva, dalla quale oggi però si può esigere una politica più umana che almeno non renda le persone due volte vittime e che non presti il fianco a coloro che lavorano a sminuire la portata della tragedia. 

Pubblicato il

06.07.2012 00:30
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