La metafora del calcio rischia di avverarsi

Un popolo di poeti e navigatori si è trasformato in sessanta milioni di commissari tecnici. Dalla poesia siamo passati alla prosa e il leopardiano “navigar m’è dolce in questo mare” ha perso il suo fascino, forse per la paura di incontrare navi “nemiche” cariche di migranti alla ricerca di un porto sicuro in cui sbarcare nella fortezza Europa.

 

Al massimo ci si chiede: che fa l’Europa? Certo, l’Europa trova comodo riscoprire le frontiere, cosicché chi ha la sventura di trovarsi immerso nel Mediterraneo se la deve vedere da solo con i disperati dell’altra sponda, che una dissennata politica estera europea ha contribuito a condannare a guerre, fame, malattie e ai viaggi della morte. Non ci si chiede però che cosa fa l’Italia, il paese della fortezza Europa con il tasso più basso di integrazione.


L’unico immigrato a cui ogni porta è aperta, anche quella del Paradiso, è l’italo-ghanese Balotelli (ma su questo terreno anche la Svizzera, orgogliosamente multietnica nei campi di calcio e nazionalista nelle urne, la sa lunga). Il processo di santificazione di Supermario, però, è stato rapidamente interrotto nella prima fase dei mondiali e ora c’è il rischio che per lui si aprano le porte dell’Inferno.

 

Una nazionale povera, senza personalità, è tornata a casa con le pive nel sacco scatenando la caccia al colpevole: Balotelli che non ha fatto i miracoli indispensabili a nascondere la pochezza della squadra, e poi i giovani che non sono più quelli di una volta, sentenziano Buffon e un popolo di ct dopo le sconfitte che ieri si chiamavano Corea del Nord o Camerun, oggi Costa Rica. Fatto sta che persino le squadrette di provincia in Italia hanno smesso di allevare i giovani e innaffiare i vivai, preferendo rivolgersi al mercato internazionale per gli acquisti. L’Italia invecchia e fa di tutto per non rigenerarsi, magari con i ragazzi che scappano da fame e guerre.


L’Italia invecchia mentre impazza il rito della rottamazione del lancillotto Renzi, presidente del Consiglio a furor di popolo che vuole cambiare con il Belpaese anche l’Europa nel semestre italiano. Cambiare in fretta, a partire dalle regole del gioco troppo rigide e vincolanti, sul lavoro come in democrazia. Più flessibilità e meno garanzie, togliere ai vecchi per dare ai giovani in una sorta di egualitarismo al ribasso dei diritti.

 

Se gli stranieri non vengono a investire in Italia per la corruzione e le mafie, si risolve il problema abbassando costo del lavoro e tutele. Se i partiti e le imprese riprecipitano in Tangentopoli, viva il decisionismo e l’accentramento del potere in poche mani, sterilizzando corpi intermedi e rappresentanze. Un Paese nauseato dalla vecchia politica ha consegnato a Renzi una delega in bianco, così ampia da spingerlo a mettere mano alla Costituzione e allo Statuto dei lavoratori.In sostanza mettere mano alla democrazia.

 

Se Buffon se la prende con i giovani, Renzi abbatte i vecchi. Eppure la metafora del calcio rischia di avverarsi, con l’Italia che se ne torna a casa con le pive nel sacco. Cantando l’Inno di Mameli, ma solo nei campi di calcio.

Pubblicato il

03.07.2014 13:14
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