Quando l'università non fa scuola

I mali tipici del mondo del lavoro non risparmiano nemmeno la realtà universitaria e le persone che vi operano, compresi i ricercatori di altissimo livello. Anche loro sono a volte vittime della smania di potere e dell'arroganza dei loro capi e ne pagano un prezzo elevatissimo, come testimonia «l'allucinante esperienza presso l'università di Berna» vissuta da Luigi Cannavacciuolo, 50 anni, fisico e ricercatore di origini napoletane con alle spalle una solida esperienza in campo accademico, in Svizzera al Politecnico di Zurigo, ma anche in Italia, in Germania e negli Stati Uniti. area lo ha incontrato negli scorsi giorni a Berna.

La sua disavventura inizia nell'estate del 2008 nella lontana Pittsburgh (Pennsylvania, Stati Uniti), dove lavora come ricercatore presso l'università. Dopo aver risposto a un annuncio per un posto di ricercatore presso l'Istituto di botanica dell'ateneo bernese viene invitato ad un colloquio in teleconferenza e a settembre gli viene offerto un contratto di lavoro della durata di tre anni e con possibilità di rinnovo. Lui accetta, ma per una serie di ritardi dell'ufficio del personale, non riceve il contratto nei tempi fissati. Avendo comunque in mano un'assicurazione scritta del suo futuro capo, il professore Cris Kuhlmeier, Cannavacciuolo disdice il suo rapporto di lavoro negli Stati Uniti e ai primi di gennaio del 2009 si trasferisce a Berna, con la moglie e la figlia appena nata, che oltretutto aveva dei problemi di salute.
Nel suo primo giorno di lavoro entra finalmente in possesso del contratto d'impiego e, con grande meraviglia, scopre che, contrariamente agli accordi intercorsi, esso prevede una durata di un solo anno. Fa immediatamente presente l'incongruenza e viene tranquillizzato dal nuovo datore di lavoro: per ragioni amministrative il contratto sarà rinnovato di anno in anno per tre anni, gli assicurano.
Ma nel novembre 2009 le cose cominciano a mettersi male. Il professor Kuhlmeier si rifiuta di rinnovargli il contratto. Cannavacciuolo si rivolge così a un legale che nel giro di pochi giorni ottiene conferma dal servizio giuridico dell'istituto universitario che effettivamente la durata del rapporto di lavoro è di tre anni e il contratto viene prorogato fino a fine 2010.
Ciò che appare come l'esito favorevole di una vertenza si rivela ben presto «l'inizio di un incubo» per Cannavacciuolo: «Già il giorno successivo -racconta- iniziano squallide ritorsioni contro di me da parte dei mio superiore». Ritorsioni culminate addirittura con un'accusa, «totalmente infondata», di molestie sessuali nei confronti di due colleghe.
È il pomeriggio del 25 novembre quando il nostro interlocutore viene formalmente convocato nell'ufficio di Kuhlmeier: alla presenza di un secondo professore e con tono intimidatorio viene informato che ogni sua dichiarazione sarà messa a verbale. Cannavacciuolo chiede dunque di poter far presenziare anche il suo legale, ma, di fronte a tale richiesta, Kuhlmeier lo mette alla porta e la sera stessa gli invia un messaggio e-mail, in cui gli rimprovera «incompetenza nella materia» e lo accusa di «insubordinazione». Critiche che mai aveva espresso in precedenza e che lasciano esterrefatto il destinatario.
Già la mattina successiva si consuma un secondo grave episodio: «Stavo lavorando al mio posto, in un ufficio che condividevo con altri cinque o sei colleghi, quando il professor Kuhlmeier fa irruzione e davanti a tutti gli altri mi ordina di trasferirmi in una stanza poco più grande di uno sgabuzzino, da solo. Come un prigioniero in cella d'isolamento. Il motivo? La mia presenza farebbe innervosire gli altri». A questo punto, Cannavacciuolo le prova un po' tutte per cercare di ripristinare un minimo di normalità: si rivolge all'ombudsman dell'università (una figura professionale che si occupa di mediare tra due parti in conflitto), così come al direttore del Servizio di consulenza delle scuole universitarie del cantone Berna. Ma non ottiene nulla.
Anzi, le cose precipitano: il 21 gennaio 2010 gli viene recapitato un preavviso di licenziamento per il mese di aprile motivato da argomentazioni «del tutto false e pretestuose». Contro questa decisione Cannavacciuolo inoltra ricorso al Dipartimento cantonale dell'educazione, che un anno dopo lo rigetterà, facendo proprie le argomentazioni prodotte da Kuhlmeier in una sua presa di posizione. Un documento in cui tra l'altro il professore elenca tutta una serie di rimproveri al suo dipendente che in parte non sono mai emersi in precedenza. Viene in particolare accusato di assenteismo e, soprattutto, di aver molestato due sue colleghe. A sostegno di questa infamante accusa allega due lettere firmate dalle presunte vittime, a cui Cannavacciuolo reagisce con una doppia querela per diffamazione e calunnia.
Una querela che ritirerà dopo il rigetto del ricorso da parte dell'autorità cantonale bernese, che lo induce a interrompere la sua battaglia. «Per sfinimento fisico ed economico», spiega.
«A quel punto, la vicenda mi era già costata più di ventimila franchi e mi sono dovuto fermare», racconta oggi Luigi Cannavacciuolo, che per le angherie subite ha pagato un prezzo anche sul fronte della salute, con problemi cardiaci e d'insonnia che ha dovuto curare con dei medicamenti.
E pure su quello professionale: «È una vicenda che ha condizionato e condizionerà la mia carriera», spiega Cannavacciuolo, tuttora alla ricerca di un nuovo impiego. «Il fatto di non potere fare ricerca e produrre pubblicazioni (il pane quotidiano per chi fa questo mestiere) rappresenta un danno che mi si porterò dietro per sempre. Nel mio curriculum ci sarà un buco di tre anni», osserva con amarezza.
Ma l'aspetto che più lo fa arrabbiare (e anche quello che lo ha indotto a denunciare l'accaduto attraverso il nostro giornale) è lo «strapotere di cui godono i professori universitari» che lui ha potuto toccare con mano. «Trovo davvero strano che dal momento in cui nasce un conflitto tra un professore e un suo dipendente, l'università prenda posizione a  favore del primo senza nemmeno interpellare tutte le persone coinvolte, in questo caso il sottoscritto. E ancora più grave mi pare la mancanza di oggettività dimostrata dal dipartimento cantonale bernese dell'educazione».
«Indubbiamente -osserva la vittima di questa incredibile vicenda- aveva ragione quella persona dell'ufficio del personale dell'università che mi disse: "Contro un professore universitario nessuno può fare nulla. Nemmeno il rettore" Probabilmente solo davanti a un giudice è pensabile ottenere giustizia. Ma per questo servono anche molti soldi, che io non ho più». Luigi Cannavacciuolo rimane convinto di essere dalla parte della ragione ma non pretende certo di dimostrarlo in questa sede, che vuole invece sfruttare per lanciare un appello a tutte le persone che come lui sono o sono state «vittime di mobbing e di comportamenti dispotici» nel mondo accademico senza avere una reale possibilità di far valere le proprie ragioni: «Sono certo di non essere la sola vittima di questo genere di soprusi. Sarebbe dunque bene che anche altri si facciano avanti e raccontino la loro storia come ho fatto io. Non certo per arrecare danno agli istituti per cui lavorano, ma per migliorare lo stato delle cose», conclude Cannavacciuolo, nonostante tutto ancora con il sorriso: «La vicenda mi ha segnato perché mi ha allontanato da molta gente: mi capita di incontrare ex colleghi che fanno finta di non conoscermi. Ma ho anche trovato dei nuovi amici, persone sincere che mi hanno sostenuto nella mia battaglia, che mi hanno aiutato. Le storie con esito negativo al 100 per cento non esistono». E ora è in attesa del riscatto: «Un nuovo lavoro che mi appaghi».

Pubblicato il

09.12.2011 03:30
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