«Questa è solidarietà di classe»

«Hanno cosparso di sale una ferita profonda» il sindaco e quei consiglieri comunali di Casale Monferrato che settimana scorsa hanno deciso di accettare l'offerta in denaro dell'ex padrone dell'Eternit Stephan Schmidheiny, ritirandosi dunque come parte civile dal processo in corso a Torino e rinunciando per sempre ad avanzare pretese nei confronti del miliardario svizzero per la strage dell'amianto causata dalla sua fabbrica.

Bruno Pesce, dell'Associazione dei familiari delle vittime, ricorre a un'immagine che rende bene l'idea della gravità della decisione politica ma anche dello sconcerto e della rabbia che essa sta suscitando nella comunità casalese. Una comunità di gente confrontata con il ricordo dei suoi 1.800 morti d'amianto, con un nuovo caso di mesotelioma (malattia che uccide nel giro di pochi mesi) ogni settimana e con la costante angoscia di "finirci dentro" o di vedere un proprio familiare aggiungersi all'elenco delle vittime dell'Eternit, che qui tutti sanno essere destinato ad allungarsi.
Non è un caso che venerdì scorso centinaia di persone si siano recate in Comune per assistere ai lavori del Consiglio comunale che era chiamato ad avallare la transazione con Stephan Schmidheiny, il principale imputato al processo di Torino che rischia vent'anni di carcere per disastro ambientale doloso permanente e omissione dolosa di misure anti-infortunistiche sui luoghi di lavoro. Una transazione da 18 milioni e 300 mila euro (circa 22 milioni di franchi) approvata alle 3.27 del mattino dopo sei ore di dibattito dalla maggioranza di destra fedele al sindaco (con 19 voti contro 11). Il tutto sotto gli occhi dei malati e dei parenti delle vittime che protestavano fuori e dentro l'aula consiliare: con lanci di monetine al sindaco al grido di «vergogna, vergogna» e con sfoghi di rabbia che hanno più volte interrotto i lavori: «Buffoni, andate a casa, dimissioni, traditori, quei soldi sporchi non li vogliamo».
In questo modo Casale Monferrato, luogo di grandi battaglie sindacali in difesa della salute dei lavoratori costruite dentro la fabbrica sin dalla metà degli anni Settanta e primo Comune italiano a bandire l'amianto dal proprio territorio, esce per sempre (a due mesi dalla sentenza) dal più grande processo mai istruito per morti sul lavoro e rinuncia a qualunque altra vertenza futura contro Stephan Schmidheiny.
Bruno Pesce, che di queste battaglie è stato ed è un protagonista di primo piano, parla di «momento molto triste». «Si è voltata pagina nei rapporti che c'erano sempre stati tra le vittime, i famigliari e l'amministrazione e che avevano sempre visto la partecipazione del Comune accanto ai cittadini nelle diverse fasi di questa vicenda. C'è sempre stata coralità, ma ora si è determinata una spaccatura», osserva con amarezza. Una spaccatura forse non del tutto inattesa: «la cosa era latente: con i cambi delle maggioranze politiche (prima di centro-sinistra e ora di centro-destra, ndr) sia a livello di Comune sia a livello di Regione i rapporti con la nostra realtà erano di fatto già interrotti».

Quali sono le ragioni profonde di questa rottura?  
Ritengo che quanto accaduto si spieghi essenzialmente col fatto che nella maggioranza domina una subcultura circa le problematiche legate all'ambiente e alla tutela della salute dei lavoratori e dei cittadini. Una subcultura che induce questi rappresentanti della "Casale bene" a risentire del richiamo di classe e a schierarsi più volentieri dalla parte del grande industriale, dalla parte del miliardario piuttosto che con gente come noi che costruisce le lotte dal basso. Se poi si considera che il nostro è un ambiente popolato da persone con una cultura di sinistra, in loro scatta anche il pregiudizio politico. La combinazione di questi due fattori crea delle barriere che impediscono loro di capire fino in fondo il problema. Tant'è vero che non si sono nemmeno resi conto che con la loro decisione sarebbero andati a sbattere contro la volontà dei casalesi: nella loro subcultura trovano infatti del tutto naturale prendere i soldi di Schmidheiny. Operando una scelta basata esclusivamente su criteri economici, sono convinti di essere dalla parte giusta.
È sorpreso dalle reazioni dei cittadini che in questi giorni, in varie forme e un po' ovunque  (compresi i campi di calcio e di basket) protestano contro il sindaco e l'amministrazione?
In questi giorni osserviamo una reazione preoccupata e molto determinata che si sta estendendo in città, anche in settori di cittadini che non si sono mai esposti molto e persino tra una parte degli elettori della maggioranza. Il fatto che un'istituzione scelga di abbandonare il processo per prendere i soldi di Schmidheiny di fronte a 1'800 morti fa specie. E dunque la reazione non mi sorprende. Senza essere né di destra né di sinistra, il cittadino semplice vicino alla classe operaia (non culturalmente o politicamente, ma di fatto, per le sue condizioni modeste) e anche quello che non risente troppo della solidarietà di classe verso i padroni, se colpito o vicino a gente che ha sofferto, si scandalizza di fronte a un discorso meramente economico, poiché pensa che la vita umana abbia un significato superiore ai soldi. Dalla gente questo concetto semplice viene capito, mentre al sindaco e alla maggioranza un miscuglio di arroganza e di pregiudizio politico ha impedito di vedere quello che stavano facendo e di capirne l'impatto sulla gente.
La rottura può considerarsi definitiva?
Hanno sparso del sale su una ferita profonda. Non avevo mai visto persone di noi urlare nelle manifestazioni, che si sono sempre svolte in modo pacato e dignitoso. Stavolta in Comune lo hanno fatto, perché si sono sentiti offesi di fronte a questa subcultura, che non ha capito che bisogna essere solidali con delle scelte. Gente che scende dal treno delle vittime alla "stazione premio" per prendere i soldi non ci può più venire a dire che sta con noi. Loro si prendano i soldi e noi andiamo avanti a lottare per la giustizia. Anche se il sindaco non ha ancora firmato l'accordo. Lo abbiamo visto molto scosso dalle reazioni dei familiari delle vittime e degli ammalati. Speriamo ci ripensi: gli daremo atto di aver recuperato la decisione più giusta.
Ritiene che da questa vicenda si possano ricavare anche degli stimoli positivi per la prosecuzione della battaglia per la giustizia?
Di fronte a questo fatto dirompente, a questa spaccatura, la città si sta interrogando più a fondo sulla vicenda, il che rappresenta sicuramente un aspetto positivo. Da parte nostra guardiamo avanti e pensiamo ad affrontare tutti uniti la sentenza e quello che verrà dopo. In particolare la fase dei risarcimenti, che andranno ripartiti secondo criteri di equità. Bisognerà in particolare stabilire una scala di priorità: prima i malati, poi le famiglie e a seguire il fondo per la bonifica, gli enti statali, l'Inail eccetera. Noi vogliamo essere giusti, sempre. E per questo ci batteremo, anche contro le norme, per un sistema innovativo di distribuzione dei risarcimenti. Abbiamo questo dovere come protagonisti di uno dei processi più significativi della storia.
Teme delle ripercussioni sul processo di Torino, la cui sentenza è attesa per il 13 febbraio prossimo?
In questo processo non credo, ma nei successivi gradi di giudizio questa mossa potrebbe fargli ottenere attenuanti e sconti di pena. Inoltre con il favore che Schmidheiny si è comprato dal Comune di Casale potrà continuare vendere in giro per il mondo una sua immagine di filantropo, di benefattore, quando poteva farne a meno. 

Pubblicato il

23.12.2011 01:30
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