Schmidheiny li ha pure fatti spiare

Dopo aver chiuso l'Eternit e lasciato in eredità ai cittadini di Casale Monferrato tonnellate di amianto, Stephan Schmidheiny ha fatto spiare per molti anni l'Associazione dei familiari delle vittime da una commercialista casalese. La notizia è emersa settimana scorsa a Torino al processo per i quasi tremila morti causati dalle quattro fabbriche italiane della multinazionale svizzera che vede imputati lo stesso Schmidheiny e il barone belga Jean Louis de Cartier De Marchienne, accusati di disastro doloso continuato e inosservanza delle misure di sicurezza sui luoghi di lavoro.

La figura e il ruolo di quella che nella cittadina piemontese chiamano "la spia degli svizzeri" sono stati descritti da Bruno Pesce, coordinatore del Comitato Vertenza Amianto e leader storico delle battaglie sindacali casalesi. Citato come testimone dal procuratore Raffaele Guariniello, Pesce ha raccontato una storia che a Casale Monferrato aggiunge dolore al dolore. Perché a tradire l'intera comunità è stata una casalese, una che intorno a sé ha visto e vede soffrire e morire di mesotelioma centinaia di concittadini e dunque ben conosce il dramma umano e ambientale causato dall'Eternit. Si chiama Maria Cristina Bruno, una commercialista con l'hobby del giornalismo che agiva per conto della società milanese di pubbliche relazioni Bellodi, al servizio di Schmidheiny. «Il gruppo Eternit è stato un buon cliente fedele e storico... per circa vent'anni», ha confermato nel 2006 l'allora titolare Paolo Bellodi davanti agli ufficiali di Polizia giudiziaria della Procura di Torino che nell'ambito dell'inchiesta Eternit aveva scoperto questa sorta di "intelligence" per spiare le vittime di Casale (e in misura minore quelle delle altre località italiane dove la multinazionale svizzera ha seminato morte) e le loro mosse.
«Maria Cristina Bruno si era avvicinata a noi verso la fine degli anni Ottanta – racconta Bruno Pesce al nostro giornale – ma già in precedenza si era introdotta nella Flm, il sindacato dei metalmeccanici, a cui offriva come giornalista freelance articoli per la stampa locale. Sicuramente fu scelta per spiare la nostra associazione anche perché aveva già degli agganci col mondo del lavoro. Presentandosi come una giornalista molto interessata alla vicenda Eternit, iniziò a frequentare le nostre assemblee e presto anche le riunioni più ristrette e noi, non avendo nulla da nascondere, la accettammo. Anche se era molto petulante: con grande insistenza e in continuazione ci chiedeva dati sui morti, sugli ammalati, sul numero delle parti offese, sui partecipanti alle nostre riunioni e voleva sempre sapere le nostre mosse successive e le strategie legali.  Quando gli avvocati venivano a Casale, faceva in modo di esserci e a volte si recava di persona nei loro studi per aggiornarsi, con la scusa di "portare un saluto" visto che "passava di lì". Nessuno di noi immaginava però che fosse una spia. Pensavamo che il suo comportamento fosse un aspetto caratteriale. Anche perché ogni volta che – a suo dire – non otteneva le informazioni richieste reagiva con frasi del tipo: "Ma insomma perché non mi dite niente? Guardate che io sono dei vostri!"».
Dagli atti dell'indagine del procuratore Raffaele Guariniello risulta che sia stata ufficialmente incaricata dalla Bellodi nel 1990 e che l'azione di spionaggio proseguì fino al 2006. «Ma è probabile che già precedenza svolgesse un'azione di delazione nei nostri confronti», afferma Pesce. Il suo compito, ha dichiarato Bellodi al magistrato torinese, non era solo quello di monitorare la stampa locale (come facevano altri referenti a Bagnoli e a Siracusa, dove le iniziative sindacali erano pressoché inesistenti), ma anche quello di allestire «un rapporto periodico mensile comprensivo d'interpretazione della situazione locale», si legge nel verbale d'interrogatorio della Procura. «Agli atti del processo – ha annunciato il Pubblico Ministero Sara Panelli – vi sono numerose relazioni della dottoressa Bruno che riguardano gli aspetti ambientali, l'incidenza del mesotelioma sui cittadini non esposti professionalmente, le prospettive del processo».
A scoprire la vicenda è stato il Procuratore Guariniello, che nel corso dell'inchiesta è incappato in una rete di contatti, anche di tipo finanziario, tra la Becon (società di Stephan Schmidheiny) e la Bellodi di Milano, da cui partivano "articolazioni" verso Casale, Bagnoli e Siracusa, dove avevano sede stabilimenti dell'Eternit. Il magistrato torinese ha dunque ordinato un blitz delle forze dell'ordine nella sede della società milanese, dove sono stati sequestrati i documenti che confermano la messa in piedi di una sorta di "intelligence" per spiare le vittime. L'attività della Bruno (che secondo indiscrezioni percepiva un compenso mensile tra i 4 e i 5 mila franchi svizzeri) è andata avanti fino al 2006, dunque ben oltre l'avvio dell'indagine Eternit da parte della Procura di Torino.
A Casale Monferrato la notizia è stata accolta con stupore e incredulità. A cominciare dai clienti della commercialista (soprattutto piccoli imprenditori locali) che ancora oggi vive e lavora in città. In molti si chiedono come abbia potuto fare questo a suoi concittadini e tradire una città (la sua) in cui l'amianto fa un morto alla settimana. Da parte nostra avremmo voluto domandarle se non si vergogna (o perlomeno prova disagio) a girare nelle strade di Casale Monferrato e se ha ancora il coraggio di guardare negli occhi i suoi concittadini che soffrono.
Per questo l'abbiamo contattata telefonicamente nel suo studio di Casale, ma l'intervista è stata breve: «Non ho nulla da dichiarare». Intende prendere posizione prossimamente? «Non ho nulla da dichiarare». Fine della chiamata.

Cercava informazioni anche in Svizzera

La giornalista Maria Roselli racconta del suo incontro con la "spia" e delle ripetute richieste di notizie su quanto veniva pubblicato dalla stampa elvetica

La talpa casalese di Stephan Schmidheiny si è interessata parecchio anche di quanto veniva scritto in Svizzera sulla strage dell'Eternit e sulle iniziative giudiziarie in corso in Italia. Lo conferma ad area la giornalista Maria Roselli, profonda conoscitrice del dossier amianto e della storia dell'Eternit, che conobbe Maria Cristina Bruno nel marzo 2002, in occasione della sua prima visita a Casale Monferrato, proprio nello storico palazzo della Camera del lavoro dove ha sede l'Associazione delle vittime dell'amianto. «Tra le persone che mi furono presentate c'era anche questa donna, che mi avvicinò per manifestare il suo interesse a scrivere un articolo sulla mia visita, in quanto prima giornalista svizzera ad interessarsi "finalmente" della vicenda dell'Eternit. Io le ho creduto visto che mi era stata presentata come persona di fiducia e oltretutto in una sede ufficiale. In seguito, soprattutto tra il 2002 e il 2004, mi contattò ripetutamente e con una certa insistenza via e-mail: una prima volta subito dopo l'incontro di Casale per sapere come era andata, quali erano le mie impressioni, per chiedermi di mandarle l'articolo che avevo scritto. Anche se era in tedesco, diceva, avrebbe tentato di capirlo in qualche modo. E io glielo mandai. In seguito mi chiese i nominativi di altri giornalisti che si erano occupati della vicenda e loro vecchi articoli (in particolare sull'Eternit di Siracusa che io avevo ripreso). Mi chiedeva insomma informazioni giornalistiche, il che non mi fece insospettire. Diverso sarebbe stato se mi avesse domandato per esempio i nomi degli attivisti sindacali. Ma a un certo punto la sua insistenza mi aveva scocciata e allora decisi di non più risponderle», spiega Maria Roselli, che nell'archivio della sua posta elettronica ha ritrovato numerosi messaggi dalla Bruno.
Ma l'aspetto più sconcertante è un altro per la nostra interlocutrice: quello di scoprire che la persona di contatto dell'azienda per le sue inchieste giornalistiche sull'Eternit era in qualche modo alla testa dell'organizzazione di spionaggio di cui pure lei è stata vittima: «Ogni volta che gli sottoponevo i risultati delle mie ricerche, per esempio sul processo di Siracusa, Peter Schürmann si complimentava per la mia bravura a scoprire le cose», racconta Maria Roselli. «Mostrava anche un lato umano: quando parlava delle morti di amianto usava espressioni del tipo "una storia triste", mi invitava a bere un caffè quando si trattava di appianare i rapporti con "work" (il giornale di Unia, più volte minacciato di querela, su cui Roselli pubblicava i suoi articoli, ripresi anche da area) e, in generale, si dava le arie di un uomo d'affari di animo buono, comprensivo».
«Aveva però sempre da ridire su ogni cosa che scrivevo e chiedeva di poter rettificare», aggiunge Maria Roselli, che con Schürmann ha avuto rapporti fino al 2007 (quando pubblicò il suo libro "Die Asbestlüge", [la bugia dell'amianto, ndr]. «Ho pure saputo che quando altri giornalisti lo chiamavano per chiedere conferma di quanto avevo scritto, mi denigrava, diceva che io non capivo nulla, che inventavo le notizie. Quando invece contattavo avvocati e consulenti italiani di Schmidheiny, lui veniva informato e mi chiamava subito per ricordarmi che per scrivere della vicenda si deve sempre passare da lui». «Il suo comportamento – conclude  – mi fece presto ritenere che fosse parte della macchina di disinformazione, ma non immaginavo che facesse spiare i giornalisti. A questo punto posso ritenere di essere stata "osservata" anche attraverso altri canali».

Dietro le quinte due fedelissimi della famiglia

Erano due fedelissimi della famiglia Schmidheiny i referenti di Paolo Bellodi, titolare della società milanese per cui lavorava la spia. I nomi sono stati fatti dallo stesso Bellodi durante un interrogatorio della magistratura torinese, di cui area possiede una copia del verbale. Si tratta di due figure molto importanti, che ancora oggi intrattengono stretti legami con Stephan (imputato al processo di Torino) e suo fratello Thomas Schmidheiny.
• Leo Mittelholzer, economista appenzellese 59enne, è stata la prima persona di contatto. Entrato giovanissimo nell'entourage della famiglia Schmidheiny, tra il 1984 e il 1986 era amministratore delegato dell'Eternit Spa e delle società italiane controllate (Eternit Casale Monferrato, Eternit Siciliana, Eternit Reggio Emilia e Eternit Napoli). In Italia è finito due volte sotto processo per le sue attività in seno al gruppo: dopo essere stato scagionato nel processo di Casale Monferrato nel 1993, è stato condannato nel 2005 (unico svizzero) dai giudici di Siracusa a due anni e quattro mesi per omissione intenzionale di misure di sicurezza sul luogo di lavoro (*). In seguito è divenuto presidente della direzione di Holcim Svizzera di Thomas Schmidheiny e oggi, dopo una parentesi in Thailandia come Ceo della Siam City Cement (il secondo più grande produttore di cemento del paese asiatico controllata dall gruppo Holcim), ricopre la stessa carica presso Holcim Germania.
• Peter Schürmann, ancora oggi il portavoce ufficiale di Stephan Schmidheiny in Svizzera, subentrò più tardi come «referente operativo» della società di "intelligence" milanese. Negli ultimi anni (dunque negli anni Duemila) era il «nostro riferimento sia per la fatturazione sia per il rapporto operativo», ha spiegato Bellodi ai magistrati. Particolare interessante: Schürmann è sempre stata la figura di riferimento dell'azienda per i giornalisti che scrivono delle vicende legate all'Eternit e si è distinto per un modo di fare particolare, come conferma la testimonianza di Maria Roselli (vedi sotto). Allora come oggi, è titolare di un'agenzia di pubbliche relazioni e consulenza aziendale, il cui ufficio si trova nella celebre Bahnhofstrasse di Zurigo, "salotto" della finanza elvetica.    

*) Nota della redazione: con sentenza del 23 aprile 2009 la Corte d'Appello di Catania ha scagionato Leo Mittelholzer da ogni accusa in mancanza di comportamento punibile penalmente da parte sua. Questa sentenza è cresciuta in giudicato.

Pubblicato il

07.05.2010 02:00
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