Si scalda l’inverno britannico

Arrogante, stupida e suicida. Così è stata dipinta la ex Prima ministra britannica Liz Truss, dimessasi lo scorso 20 ottobre dopo soli 45 giorni di governo. Ma il suo programma non era una follia personale, bensì un piano. Come ai tempi di Margaret Thatcher, i “mercati dovevano essere liberati” per innescare la crescita economica: prima la riduzione delle tasse e poi − perché mancano i soldi − lo smantellamento dei servizi e delle normative statali. Ma nel 2022 un piano del genere è pura ideologia. In Gran Bretagna, infatti, quasi tutto è privatizzato, le imposte sono basse, i sindacati sono stati marginalizzati e i servizi pubblici ridotti al minimo. Ed è in base a questa ideologia che i delegati del Partito Conservatore hanno designato Liz Truss.


Truss aveva promesso sgravi fiscali e ha mantenuto la parola: quasi 50 miliardi di sterline (56,5 miliardi di franchi) di tasse in meno avrebbero dovuto pagare le imprese e i ricchi. Non essendo possibile sul breve periodo risparmiare così tanto denaro, Truss e il suo ministro delle finanze volevano contrarre debito, nonostante i tassi d’interesse in crescita. Ma una simile economia voodoo era troppo persino per gli incalliti capitalisti britannici. Hanno rifiutato il regalo a credito e i mercati hanno reagito prontamente: i tassi d’interesse sono saliti, la sterlina si è svalutata in modo massiccio e l’economia già indebolita sta vacillando.


Per non cadere immediatamente, Truss ha prima scaricato il suo ministro delle finanze e ritirato i tagli alle tasse. Ma così facendo, ha ammesso che il punto centrale del suo programma è stato un flop. La sua credibilità è così crollata e anche lei ha dovuto dimettersi.
Per la classe operaia il problema non si è però risolto così. Il partito conservatore ha un’ampia maggioranza in parlamento che concorda su molte cose, a partire dalla volontà di far pagare la crisi ai salariati e ai pensionati. In questo il neo Primo ministro Rishi Sunak non si differenzia. I conservatori vogliono deregolamentare ulteriormente l’orario di lavoro, porre nuovi ostacoli all’esercizio del diritto di sciopero, nonché tagliare la spesa sociale e i servizi pubblici. Ma anche questo piano rischia di fallire. Perché è tornata a farsi sentire la classe lavoratrice: già in estate, un’ondata di scioperi ha attraversato il paese, con lunghe fasi di astensione dal lavoro soprattutto nei porti. E ora ne è in corso un’altra, che coinvolge addetti alla raccolta dei rifiuti, dei trasporti, della scuola e di molti altri settori.


In un momento opportuno, si è svolto il congresso della Confederazione sindacale britannica (TUC), i cui delegati hanno deciso di coordinare sin da subito le loro lotte. E la loro piattaforma: pieno adeguamento salariale al costo della vita e un massiccio aumento del minimo legale da 9,50 a 15 sterline (da 11 a 17 franchi), fine dei contratti di lavoro precari, limitazione dei prezzi dell’energia, rimborso degli extra profitti, statalizzazione delle aziende energetiche, nonché diritto alla contrattazione collettiva e allo sciopero.


Quello che attende la Gran Bretagna è un inverno caldo!

Pubblicato il

27.10.2022 14:48
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