Un selfie per farsi forte

Anche Obama “benedice” lo scempio della Costituzione italiana voluto da Matteo Renzi

Prima di tutto, vorrei dire quanto io e Michelle siamo lieti di ospitare il primo ministro Renzi e la signora Landini (che non è la sorella di Maurizio, il segretario della Fiom, ndr). L’Italia è da lungo tempo uno degli alleati più forti e vicini all’America”. È l’assist di un Obama a fine mandato a un Renzi che, qualora al referendum sulla controriforma costituzionale dovesse vincere il no, potrebbe seguire a ruota il presidente degli Stati Uniti sulla via del tramonto.

L’intervista è uscita su Repubblica, il giornale del Pdr (Partito di Renzi) martedì, in occasione dello sbarco oltre Atlantico della comitiva italiana in viaggio elettorale. Con il premier e la first lady ci sono Benigni (ex cantore della “Costituzione più bella del mondo”), lo stilista Armani, Bebe Vio (campionessa paralimpica), la sindaca di Lampedusa Giusi Nicolini, la direttrice del Cern Fabiola Gianotti, Paolo Sorrentino, la design Antonelli e il guardiano dell’onestà tricolore Raffaele Cantone. Chef, l’italo-americano Mario Batali la cui cucina fa sognare Michelle. Menù italiano e ingredienti a stelle e strisce, questo ve lo risparmiamo pur interrogandoci sui vini: californiani? Toscani?


Se abbiamo dedicato spazio all’evento è per far capire l’ansia di Renzi per l’esito del referendum che modifica un terzo della Costituzione nata dopo e grazie alla Liberazione dal nazifascismo, a cui ha contribuito in modo determinante la lotta partigiana. Ora, i partigiani ancora in vita e i nuovi partigiani dell’Anpi si sono espressi quasi all’unanimità contro lo scempio della loro Costituzione, dunque a Renzi non restava che bussare alla porta degli Alleati Usa. L’assist di Obama (che condivide le riforme del genio fiorentino, che in cambio si è trasformato in uno dei pochi sponsor europei del detestato Ttip e invia soldataglia antirussa sul Baltico) va ad aggiungersi a quello di Angela Merkel, della JP Morgan, dell’ambasciatore Usa a Roma, della Confindustria. I poteri forti locali e globali stanno con il rottamatore, e a ricordarlo con determinazione e il solito tono beffardo è il redivivo Massimo D’Alema, una delle voci più lucide del fronte del No. Ma Renzi sa che non bastano i poteri forti a vincere, così è riuscito a pescare persino un po’ di poteri deboli: 68 sessantottini ex extraparlamentari saltati sul carro del Sì, un po’ di pentiti e qualche sindaco importante. Resta il fatto che in patria il consenso a Renzi si è eroso e il Pd tiene solo tra la borghesia e frana tra le aree e nei quartieri popolari, nel ceto medio ormai proletarizzato e bastonato (insegnanti per primi) e tra i giovani. È sempre D’Alema a ribadirlo a ogni incontro. In molti si chiedono se la discesa in campo per il No dell’ex premier – quello della Bicamerale con Berlusconi e della guerra umanitaria in Jugoslavia – sia un valore aggiunto per salvare la Costituzione, o un handicap.


Come ricordano presidenti onorari della Consulta come Onida e Maddalena e giuristi come Zagrebelsky e Rodotà, nonché l’intero composito fronte del No che va dall’estrema destra a Sinistra Italiana, a minacciare la democrazia è il combinato disposto tra legge elettorale (Italicum) e controriforma costituzionale. La prima, fatta per un paese bipolare che invece si scopre tripolare, può consentire a chi – destra, centrosinistra, M5S – arrivasse primo con il 25% di voti di ottenere più del 50% dei seggi. E sarebbe una Camera di nominati dai partiti, non scelti dagli elettori. La seconda nasce nel modo peggiore: se per fare la Costituzione si sono unite tutte le forze antifasciste, per distruggerla si è imposta una maggioranza risicatissima, salvata da stampelle politicamente e umanamente indecenti. Renzi giura che così si taglieranno i costi della politica, si semplificherà il processo legislativo, si darà potere a comuni e regioni.


È vero il contrario: non si abolisce il Senato ma il diritto di voto, 100 nominati invece di 330 eletti; resta il bicameralismo con ruoli secondari per il Senato, salvo il potere di rallentamento dell’iter legislativo; i territori contano meno ma in cambio i senatori nominati hanno il salvacondotto dell’immunità parlamentare. Si aumenta dunque il fossato tra i cittadini e una politica sempre più elitaria e oligarchica (vedi polemica Scalfari-Zagrebelsky).


Oltre ai viaggi atlantici Renzi usa ogni strumento a sua disposizione, armi proprie e improprie, per comperare consensi, convincere la sua sinistra interna tentennante, malmostosa e inconcludente ma soprattutto per succhiare voti dal caravanserraglio berlusconiano diviso tra realisti (quelli che “Renzi è la controfigura del cavaliere”) e identitari. La prima arma è naturalmente l’economia e l’uso disinvolto dei fondi pubblici con elargizioni a destra (soprattutto ai padroni) e a manca (qualche pensionato). Senza coperture, come già fu per l’abolizione della tassa sulla casa, una nuova moratoria per gli evasori, condoni, sconti per l’abbonamento a una tv sempre più renzizzata e via comprando, nella speranza che terremoto e migrazioni convincano l’Ue a consentire sforamenti sul deficit. Nessuna misura strutturale, solo mance elettorali e promesse impossibili: il ponte sullo Stretto di Messina. In un paese allo stremo, con la disoccupazione crescente, l’impoverimento di chi lavora e il sorpasso dei poveri italiani sui poveri migranti nelle code di fronte alle mense della Caritas.

Pubblicato il

20.10.2016 15:23
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