Una volta la sinistra cercava i voti ascoltando i lavoratori e battendosi per i loro diritti e la sua forza vestiva la tuta blu. La sinistra contemporanea, diciamo il Partito democratico (absit iniuria verbis, sinistra sia detto senza offesa), sempre più spesso i voti li cerca ingaggiando cacicchi e mercanti di consensi in cambio di favori, prebende, benefit e privilegi. Comprando voti a 50 euro l’uno, come pare sia capitato in Puglia, o garantendo appalti addirittura ad aziende della ’ndrangheta, come in Piemonte secondo le inchieste della magistratura. I pacchetti di voti sono portati da personaggi che senza pudore e senza leggi che glielo impediscano passano da un partito all’altro e da uno schieramento all’altro pur di piazzarsi o piazzare i loro vassalli in un consiglio regionale, o comunale, o magari in Parlamento che sia italiano o europeo. Per fare affari. Dire trasformismo è dire poco. Una volta la sinistra, anche quando aveva già messo in secondo piano nella sua agenda la centralità del lavoro, si distingueva dalla destra per la questione morale: “Abbiamo le mani pulite”. Pensando agli esiti dei sinceri sforzi rigenerativi di Elly Schlein, non si può che concludere che una rondine non fa primavera. Non che nel Pd non ci siano più rondini, ma il fatto è che sotto l’incalzare di cornacchie e avvoltoi finiscono per restare nascoste nel loro nido, o volare lontano. Il Pd è riformabile?

 

Non è chiaro se il pentastellato Conte freni sul progetto fumoso del campo largo per rigore morale o per interesse di parte, cioè per prendere un voto in più di Elly Schlein, certo è che prenderlo a pretesto per decretare la fine di ogni possibile alleanza per battere la destra, come fa un bel po’ di senatori dem ha un sapore tafazziano. Il nemico è il Pd, o dall’altra parte il M5S, oppure Giorgia Meloni con il suo esercito di fasci, turboliberisti, guerrafondai e armaioli, inservienti di Confindustria? Sia detto per inciso, a Bari e in Piemonte si vota tra poche settimane.

 

I lavoratori si mobilitano: l’11 sciopero generale

In questo clima, con i partiti democratici in tutt’altre faccende affaccendati, chi s’è accorto che l’11 aprile ci sarà uno sciopero generale di tutti i settori privati, indetto da CGIL e UIL, contro le politiche criminali che stanno aumentando paurosamente gli infortuni e le morti sul lavoro, per un fisco equo che non faccia pagare il 90% delle tasse a lavoratori dipendenti e pensionati e invece combatta l’evasione fiscale, tassi di più la rendita e gli extraprofitti? Costruire un nuovo modello sociale d’impresa che metta al centro il lavoro è il filo conduttore delle mobilitazioni di CGIL e UIL, e il 20 di questo stesso mese ci sarà una grande mobilitazione in difesa della sanità pubblica. Tutti obiettivi, questi, ritenuti importanti dalle forze “progressiste” ma che poco si conciliano con i voti favorevoli al riarmo e a nuovi invii di cannoni a Kiev per alimentare una guerra sciagurata. Bisogna decidere dove investire i pochi soldi che ci sono: per ridurre le liste d’attesa negli ospedali oppure per rafforzare le trincee belliche? Ma ancora prima della manifestazione del 20 aprile, il 12 c’è lo sciopero generale dei metalmeccanici torinesi, questa volta promosso oltre che da FIOM e UILM anche dalla FIM-CISL. È l’unico appuntamento sindacale unitario che resta, insieme al Concertone del 1° Maggio.

 

Chi invece mette il lavoro al centro dell’agenda è il governo Meloni, ma lo fa per comprimerlo, sfruttarlo, taglieggiarlo. Aver introdotto i subappalti a cascata e senza neppure la responsabilità dell’azienda madre sull’intera filiera fa salire il numero di morti sul lavoro (313 nei primi mesi del ’24 secondo l’Osservatorio nazionale di Bologna) e abbatte i diritti fondamentali. È di pochi giorni fa l’ordine del Tribunale di Milano di mettere in amministrazione controllata la Giorgio Armani Operations perché ai piedi della sua filiera operai cinesi producevano per il brent del lusso in condizioni disumane, orari disumani, salari disumani tra i 2 e i 3 euro l’ora. Ecco a voi il Made in Italy tanto caro alle nostre destre sovraniste che nulla fanno per fermare i massacri che le multinazionali straniere compiono sulle nostre aziende. Come nel caso di Stellantis, con quel che resta della produzione FIAT in fuga verso la Francia, l’Est europeo e il Nordafrica.

 

La sinistra, come le stelle, sta a guardare. Per carità, sta con i sindacati con il cuore, ma con le politiche resta distante dal mondo del lavoro, anche quando esso sciopera, manifesta, muore di fatica, non arriva a fine mese con uno stipendio da fame. Una volta si diceva che il pane è la libertà, la libertà è il pane. Bisognerebbe ricordarselo, invece di chiedersi a ogni elezione perché i lavoratori non votano più, o non votano più a sinistra. Altrimenti non restano che cacicchi e capibastone.

Pubblicato il 

08.04.24
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