“Sono solo canzonette”, come canta da 24 anni Edoardo Bennato? O sarà che, in fondo in fondo, quello italiano altro non è che un “popolo musicomane”, per usare le parole della sigla di Canzonissima 1962 animata da Dario Fo e Franca Rame, costretti a dimettersi per colpa di uno sketch non gradito dalla censura democristiana in cui un padrone edile si rifiutava di applicare le norme di sicurezza? Ma a Sanremo, apoteosi del paludato bon-ton nazionalpopolare, le canzonette non son mai state solo canzonette. Sul palco dell’Ariston, dalla fine degli anni Sessanta si sono alternate proteste, provocazioni, contestazioni, persino suicidi come quello di Luigi Tenco nel ’67 o comparsate come quella ben più recente di Zelensky. Tutto assorbito con i mazzolin di fiori delle serre sanremesi. Ma il tempo è cambiato, oggi Mara Venier si sente in dovere di zittire cantanti e giornalisti e di leggere veline aziendali aggiungendo che “qui è una festa, si parla di musica” non di politica. Dalla Dc a Fratelli d’Italia, basta adeguarsi.

 

Un personaggio che di televisione si intende come Carlo Freccero, nel Cda Rai tra il 2015 e il 2019, la spiega così: «Siamo in pieno mondo capovolto, passati dal pensiero critico alla dittatura del pensiero unico». Ma cos’è successo al Festival della canzone italiana, che, come e più degli altri anni, sotto la guida di Amadeus ha inchiodato sulla malmessa rete ammiraglia della Rai, detta “telemeloni”, la stragrande maggioranza degli italiani davanti al video ad ascoltare canzonette, performance, slogan e spot? Procediamo con ordine: dopo le polemiche complottiste contro il cantante Geolier che si è permesso di cantare in napoletano, raccogliendo il massimo dei consensi con il televoto da Varese a Siracusa – vittoria cancellata dal voto della sala stampa – si è entrati nell’agone dello scontro politico per finire con la dittatura del pensiero unico denunciata da Freccero. Amadeus è stato sanzionato da Benito La Russa perché ha ricordato gli italiani uccisi nelle foibe di Tito invece di dire del comunista Tito. E avanti in un crescendo: Ghali è stato messo sul rogo per aver detto, al termine della sua esibizione, “Stop genocidio”. Per di più, uno che ha le sue antiche origini in Tunisia, si permette di cantare “Sono un italiano vero”? Apriti cielo, quello stop al genocidio di Gaza fa sobbalzare l’ambasciatore israeliano a Roma Alon Bar che invia una nota adirata difendendo il diritto del suo governo e del suo esercito a massacrare 30mila palestinesi. E Mara Venier legge la velina di scuse al governo Netanyahu e di presa di distanza da Ghali dell’ad Rai Roberto Sergio, aggiungendo, per non lasciar dubbi sulla sua fedeltà all’egemonia culturale meloniana, che in quella velina ci sono “parole che condividiamo tutti”. Il governo di destra di Tel Aviv non si tocca, chiunque ci prova viene mitragliato a Sanremo come a San Pietro, come è successo al segretario di stato Vaticano Pietro Parolin, aggredito dall’ambasciatore israeliano presso la Santa Sede per aver definito sproporzionata («Il diritto alla difesa di Israele sia proporzionato, certamente con 30mila morti non lo è. Siamo sdegnati dalla carneficina») la reazione militare contro il popolo palestinese come risposta all’aggressione di Hamas del 7 ottobre 2023.

Netanyahu ha molti amici a Roma. Persino a Repubblica diretta da Molinari, che in pieno Festival di Sanremo censura un’intervista guarda caso proprio a Ghali fatta dai suoi cronisti. In seguito alla denuncia del Fatto quotidiano il direttore si difende sostenendo che il cantante nell’intervista non aveva denunciato con forza l’aggressione di Hamas a Israele. Una giustificazione che però non ha convinto il comitato di redazione del quotidiano di proprietà del gruppo Gedi (John Elkann) che ha risposto a Molinari con un duro comunicato contro la cancellazione dell’intervista quando era già stata messa in pagina.

 

Dopo Ghali la mannaia si abbatte sul collo di Dargen D’Amico, reo di difesa appassionata dei migranti e dei diritti di chi è costretto a scappare dal proprio paese per fame, dittature, violenze. Niente da fare, solo canzonette sulla riviera dei fiori. Sconsolata quanto condivisibile l’invocazione di Fiorella Mannoia: “Restiamo umani”, che è l’appello con cui si concludeva ogni articolo per il manifesto di Vittorio Arrigoni da Gaza prima di essere ucciso.

Il governo di destra italiano misura le parole quando parla del governo di destra di Israele. Il massimo che Meloni riesce a fare è astenersi su una mozione del Pd di Elly Schlein che chiede al governo di impegnarsi per la pace in Medioriente. Ci sono affari di cuore a impedire posizioni troppo critiche, e affari di armi. E di energia: a fine ottobre, cioè durante il conflitto israelo-palestinese, l’Eni ha firmato un mega accordo con il governo di Tel Aviv per lo sfruttamento di gas offshore nel mare palestinese davanti a Gaza. Te li do io i due popoli due stati. Meglio limitarsi alle canzonette allora, purché parlino solo di cuore e d’amore. Alla politica, e alle nomine Rai, ci pensa Giorgia Meloni, mentre il suo ministro dell’interno Matteo Piantedosi si occupa di far bastonare a Napoli e Torino i giovani che manifestano in difesa del cantante Ghali e dei diritti dei palestinesi massacrati a Gaza.

Pubblicato il 

16.02.24
Nessun articolo correlato