“C’è qualcosa di nuovo oggi nel sole, anzi d’antico”, ma non è l’aquilone di Giovanni Pascoli. La novità è lo sciopero spontaneo per il secondo giorno di seguito nel gigante di ferro, il luogo più simbolico nella storia del movimento operaio italiano: Mirafiori. Al termine di un’assemblea partecipatissima della Fiom, gli operai del montaggio della 500 elettrica Fiat sono usciti in corteo dalla mitica porta 2 delle carrozzerie per protestare contro il futuro incerto decretato dalla Stellantis, il nuovo gruppo italo-francese dell’auto che ha unito Fca (Fiat-Chrysler) e Psa (Peugeot-Citroen). Un gruppo che di italiano, ormai, ha ben poco.

Ha il presidente John Elkann che si limita a tutelare gli interessi della famiglia Agnelli e derivati, mentre chi decide vita e morte degli stabilimenti, ricerca, innovazione, transizione ecologica dei motori e occupazione è l’amministratore delegato Carlos Antunes Tavares che cura gli interessi dei francesi. E lo stato francese ha una partecipazione in Stellantis e un suo uomo nel cda. I sindacati dei metalmeccanici italiani chiedono impegni concreti all’azienda e a Meloni una reazione decisa per salvare occupazione e produzione in Italia. Per tutta risposta, il governo stanzia un altro miliardo in ecoincentivi senza pretendere in cambio impegni sociali e industriali dai costruttori; al contrario, il giorno dopo la comunicazione dei fondi per la rottamazione di vecchie vetture, Stellantis ha annunciato nuova cassa integrazione a Mirafiori per altri due mesi e la fine della produzione della Maserati Levante dal 31 marzo. Decisioni che, in assenza di nuovi modelli, rendono ancora più incerto il destino degli operai di Mirafiori, quelli sopravvissuti a crisi, cambiamenti di proprietà e assenza di investimenti. E un’altra fabbrica storica della Fiat, Pomigliano d’Arco, vive nella stessa situazione di precarietà.

Mirafiori fu inaugurata da Benito Mussolini e fin da quel primo giorno di vita rappresentò il luogo per antonomasia della contestazione operaia che costrinse il duce ad andarsene indignato mormorando “Torino porca”. Da qui partirono gli scioperi del ’43-’44 contro la guerra e il fascismo, qui esplose l’autunno caldo del ’69 che durò per tutto il decennio successivo, quello delle grandi conquiste che contagiarono l’intero movimento operaio fino alla sconfitta seguita ai 35 giorni di lotta ai cancelli.

 

Mirafiori si sviluppa in un’area di 3 milioni di metri quadrati, con 37 porte d’ingresso lungo un perimetro di 10 chilometri, qui hanno lavorato fino a 60 mila uomini e donne contemporaneamente nel picco occupazionale del 1979, oggi grazie al blocco del turnover e alle uscite incentivate ne rimangono appena 11 mila, con un’età media di 55 anni e la produzione di automobili è ridotta al lumicino. Dalla metropoli di strade, tubi, convogliatori, catene di montaggio di un tempo al deserto di oggi. In una città, Torino, che ha sempre vissuto intorno all’auto e al suo indotto fatto di produzione e anche di ingegneria, design, tecnologia, robotica, servizi. Se è incerto il destino di Mirafiori, lo è il presente e il futuro di Torino, la città che fu la Detroit italiana ed europea e da troppi anni è alla ricerca di una sua nuova identità.


I sindacati si muovono lungo due direttive: il conflitto con Stellantis contro l’abbandono delle produzioni e della ricerca in Italia e a favore dell’arrivo a Torino e a Mirafiori di un secondo produttore, persino cinese qualora si presentasse l’occasione. Avrebbero bisogno di avere un governo amico, ma non ce l’hanno: Meloni finge di indignarsi contro i francesi ma non fa nulla perché in Italia si torni a produrre almeno un milione di vetture e 300 mila furgoni.

Servirebbero investimenti per facilitare la transizione verso l’elettrico mentre quei soldi vengono dirottati in progetti finto-fantasmagorici per aiutare l’Africa, in realtà per tentare di frenare l’immigrazione. Il governo non ha un progetto industriale perché non ha un modello, un’idea per il futuro del paese. Le opposizioni al governo fascio-leghista non si appassionano più da tempo al destino dei lavoratori, forse perché troppo impegnate a beccarsi tra di loro come i polli di Renzo. E chi non è al governo né all’opposizione ma tra color che son sospesi, come Carlo Calenda, l’ex ministro che ha consegnato l’Ilva agli indiani, con chi se la prende? Con la Cgil che non lotterebbe contro Stellantis per non disturbare Elkann che è il padrone anche di Repubblica. Se c’è un sindacalista che ha segnato la sua strada con le lotta alla Fiat, questo sindacalista si chiama Maurizio Landini e se c’è un sindacato che non ha mai abbassato la guardia alla Fiat, questo sindacato è la Fiom-Cgil.
Ma c’è una novità positiva in Il Risveglio delle Tute Blu a Mirafioriquesto scenario disperante, qualcosa di nuovo oggi nel sole: il ritorno in campo delle tute blu ci dice che c’è ancora vita nel Belpaese.

 

Pubblicato il 

09.02.24
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