La morte di Barbara Balzerani ha riaperto lo scontro politico e culturale sul terrorismo, le Brigate rosse e un lutto collettivo mai elaborato definitivamente. Il funerale della “primula rossa” (tra gli ultimi brigatisti a essere arrestata nel 1985) è stato trasformato soprattutto dalla destra nell’ennesima occasione per mettere sotto processo non tanto il terrorismo rosso quanto l’intero decennio di lotte e conquiste degli anni Settanta. Un decennio che è profondamente sbagliato ridurre e riassumere come “anni di piombo”. Ancora oggi le forze democratiche tentano di difendere dall’uragano reazionario politico e culturale in atto le conquiste che forse il più grande movimento di lotta in Europa ha strappato allora. Le Brigate rosse, con la loro sciagurata ideologia militarista dell’assalto al Palazzo d’Inverno hanno contribuito a determinare la sconfitta del movimento nato nel biennio rosso ’68-69 che era riuscito a cambiare il paese dalle fondamenta, portando la democrazia persino nelle più arroccate istituzioni totali dello Stato: un salto di qualità della democrazia italiana che neanche le bombe, le trame e i tentativi di svolte autoritarie agite da apparati dello Stato per mano dei fascisti erano riusciti a fermare.

 

Come ha scritto Giovanni De Luna in un articolo per la Stampa, quando le Br e poi Prima linea “sostituirono i volantini con le pistole” fu l’inizio della sconfitta di quel movimento di trasformazione sociale, politica e culturale. Quando per l’azione di un’agguerrita e militarizzata minoranza la parola d’ordine “fuori l’Italia dalla Nato” si trasformò nel rapimento del generale della Nato Dozier, quando la critica al moderatismo del Pci si trasformò nell’uccisione dell’operaio comunista Guido Rossa, quando la critica anche aspra alla Democrazia Cristiana fu sciaguratamente tradotta nel rapimento e poi nell’assassinio di Aldo Moro, fu allora che le lotte del movimento operaio, degli studenti, delle donne subirono una sconfitta a cui per un decennio avevano lavorato padroni e padrini.

 

Barbara Balzerani è stata la donna che ha raggiunto le posizioni più rilevanti ai vertici delle Brigate rosse. Partecipò al rapimento e all’assassinio di Aldo Moro, si rese responsabile di omicidi e rapimenti come quello del generale Dozier. Fu arrestata nel 1985 e ha pagato i suoi conti con la giustizia scontando la condanna all’ergastolo con 21 anni di carcere e 5 ai domiciliari. Nel 1987, insieme a Renato Curcio e Mario Moretti dichiarò conclusa l’esperienza della lotta armata sancendo la resa definitiva delle Br.

 

La gran parte dell’informazione ha dato ben poco peso a questa rottura, e alla sua morte ha insistito nella definizione “mai pentita” e “mai dissociata”. Balzerani ha scritto otto libri sostanzialmente autobiografici ed espresso “profondo rammarico per quanti sono stati colpiti nei loro affetti a causa di quegli avvenimenti”. Troppo poco? Troppo tardi? O, forse, gli attacchi si basano su una categoria impropria per giudicare le sue scelte, quella del pentimento che attiene alla morale e non alla politica? Il confronto e lo scontro sull’intera vicenda del terrorismo sono ancora vivi e spuntano ciclicamente a significare un’elaborazione politica mai conclusa.

Ancora una volta, negando la pietas persino al cimitero, la destra ha colto l’occasione della morte di Balzerani per evocare gli “anni di piombo” denunciandone il ritorno, individuandone le tracce nel presunto attacco alle forze dell’ordine benedette da Giorgia Meloni per la loro azione manganellatrice ai danni di ragazzi minorenni che invocavano la fine della strage in Palestina. All’opposto, si affollano in rete post che esaltano la coerenza e le finalità delle scelte brigatiste di Balzerani. Lo “scandalo” è esploso quando la filosofa teoretica Donatella Di Cesare, attiva nel movimento contro la guerra, ha scritto un post di poche righe quantomeno improvvido: “La tua rivoluzione è stata anche la mia. Le vie diverse non cancellano le idee. Con malinconia un addio alla compagna Luna”. Compagna Luna è il titolo di un libro di Barbara Balzerani. In seguito alle polemiche suscitate, Di Cesare ha cancellato il post incriminato dichiarandosi “sconcertata” dagli attacchi (guidati neanche a dirlo da Salvini), ammettendo che la semplificazione non aiuta l’analisi di una vicenda complessa. Certo non la si dovrebbe affrontare con due righe sui social. Resta il fatto – lo scrivo per evitare qualsivoglia fraintendimento – che la rivoluzione della Balzerani non era la mia. E non era quella di chi negli anni Settanta, ma anche prima e dopo, si è battuto per il divorzio, l’aborto, la democratizzazione delle istituzioni, della scuola, della famiglia, per i diritti dei lavoratori, per la chiusura dei manicomi. Si può condividere la malinconia per le battaglie degli anni Settanta, mentre per le azioni delle Brigate rosse non va espressa malinconia ma solo rabbia.

Pubblicato il 

08.03.24
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